• Gramsci e Togliatti: due pensieri inconciliabili

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    «Il Vaticano è senza dubbio la più vasta e potente organizzazione privata che sia mai esistita. … la più grande forza reazionaria esistente in Italia, forza tanto più temibile in quanto insidiosa e inafferrabile… Il Vaticano è un nemico internazionale del proletariato rivoluzionario. È evidente che il proletariato italiano dovrà risolvere in gran parte con mezzi propri il problema del papato, ma è egualmente evidente che non vi arriverà da solo, senza il concorso efficace del proletariato internazionale…»

    Antonio Gramsci – La Correspondance Internationale, 1924

    Scritti  di Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti sulla Chiesa cattolica e sulla religione

    Il libro di Mauro Canali, Il tradimento, uscito da pochi mesi, sta suscitando nella cultura di sinistra un vivace dibattito culturale. Al centro della querelle ci sono due protagonisti del Partito comunista italiano del Novecento: Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti.

    Il saggio di Canali getta una nuova luce sul ruolo di Togliatti nella morte del fondatore de L’Unità e sulla mistificazione delle sue idee da parte del “Migliore” e dei sacerdoti dell’Istituto Gramsci.

    Dalle reazioni risentite al libro di Canali dei marxisti-ratzingheriani (Giuseppe Vacca, Pietro Barcellona, Mario Tronti e Paolo Sorbi)  sembra che questa pubblicazione abbia colpito ancor più nel segno di quanto lo abbiano fatto i lavori di intellettuali di valore come Lo Piparo, Donzelli, Canfora, che con le loro ricerche hanno fatto traballare il mito della continuità ideale tra Gramsci e Togliatti “sodali compagni di partito”, sapientemente costruito da quest’ultimo.

    Invece le differenze c’erano eccome. Ed erano differenze inconciliabili. Lo si evince soprattutto da quanto essi scrivevano affrontando un teme sensibile come quello della religione e dei rapporti con la Chiesa cattolica. Gramsci vedeva nella Chiesa una struttura di potere reazionario colpevole sia dell’avvento del fascismo che della presa del potere di Hitler che realizzò il suo incubo grazie a voti dei cattolici spinti dal Nunzio pontificio in Germania Pacelli, che ne ricevette in cambio l’investitura papale. Togliatti invece pensava, come Mussolini e Hitler, che la Chiesa cattolica fosse, in Italia,un prezioso alleato.

    Penso che per conoscere le intenzionalità politiche e sociali che differenziavano fortemente i due uomini del Pci non vi sia modo migliore che quello leggere quanto l’uno e l’altro abbiano scritto di proprio pugno sulla Chiesa e sulla religione.

     –

    I testi che propongo sono stati estratti da un lungo articolo Una boccata d’aria pura di Luigi Scialanca http://www.scuolanticoli.com/pagegramsci.htm

    Gian Carlo Zanon

    20 febbraio 2014

    togliatti jung

    La lotta contro la religione non è ammessa nel Partito. Il PCI non è un partito ateo

    (da Palmiro Togliatti, rapporto al primo congresso del partito dopo la Liberazione, dicembre 1945.

    Citato da Comunisti e cattolici, cit., pp 27 – 29)

    […] Quale posizione prendiamo noi, nei confronti della Chiesa cattolica e del problema religioso?

    Noi rivendichiamo e vogliamo che nella Costituzione italiana vengano sancite e difese dalla legislazione italiana la libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa. Consideriamo queste libertà come libertà democratiche fondamentali che devono essere restaurate in pieno e difese contro qualunque attentato da qualunque parte si voglia fare ad esse.

    Sappiamo però che al di fuori di questa questione ne esistono altre che interessano la Chiesa cattolica. La prima è stata quella che è stata regolata col Patto Lateranense. Noi consideriamo la soluzione data alla questione romana come qualche cosa di definitivo che ha chiuso e liquidato per sempre un problema.

    Noi sappiamo che il Concordato è uno strumento di carattere internazionale, oltre che nazionale, e comprendiamo benissimo che questo strumento non potrebbe essere riveduto che per intesa bilaterale, salvo violazioni che portino una parte o l’altra a denunciarlo. Crediamo che questa sia una posizione chiara e netta la quale toglie in questo campo ogni equivoco che possa avvelenare o intorbidare i rapporti fra il nostro Partito e la Chiesa cattolica in Italia.

    Noi critichiamo e denunciamo ogni intervento di autorità ecclesiastiche le quali tentano di esasperare ed avvelenare i termini della lotta politica in Italia, come una propaganda tipo “diavolo rosso” e cose di questo genere. Noi non siamo mai stati anticlericali, non lo siamo e credo che non lo saremo, ma noi critichiamo, denunciamo il fatto che la Chiesa possa diventare una agenzia elettorale per una lotta politica che interessa il popolo italiano. Questo vuol dire che noi non vogliamo, nel nostro Partito, una lotta di religione.14

    […] In quasi tutti i paesi cattolici […] la vita politica si orienta verso la collaborazione e il blocco dei tre grandi partiti di massa: comunista, socialista e democristiano, in opposizione ai residui partiti e movimenti di destra, ridotti, alle volte, addirittura ai minimi termini o praticamente scomparsi dalla scena politica.

    […] È vero che noi qui non poniamo solamente un problema di collaborazione governativa o di blocco parlamentare. Noi poniamo il problema più profondo, dell’unificazione politica e organizzata politicamente di tutte le forze democratiche15.

    Non ignoriamo le difficoltà e le ostilità che dobbiamo superare, soprattutto tra i democristiani, per riuscire a congiungere, a tutte le forze democratiche italiane, anche quelle popolari da esse controllate. Ma noi pensiamo che, anche in Italia, si possono e si devono ottenere dei risultati in questa direzione: primo, perché, anche in Italia, le masse cattoliche si muovono nel senso della unità popolare da noi indicata; secondo, perché, proprio in Italia, in questa direzione, si sono già fatti dei passi notevoli durante la guerra di liberazione nazionale e in questi primi mesi di ricostruzione; terzo, perché in Italia, la lotta per la creazione della democrazia è tutt’altro che terminata e sulle differenziazioni particolari deve prevalere ancora quello che ci è comune: l’aspirazione alla libertà e alla democrazia.

    Questa lotta per il rinnovamento dell’Italia, continuando in forme sempre più dure e difficili, obbliga le forze democratiche, sincere e oneste, a mantenersi unite e a stringersi sempre più saldamente tra loro.

    La fede e la disciplina religiosa delle masse democristiane potranno, ciò nonostante, costituire degli ostacoli insormontabili alla più stretta collaborazione tra comunisti, socialisti, democristiani e cattolici in generale?

    Noi non lo crediamo. L’esperienza del passato e quella recente ci confermano nel nostro avviso.

    Recenti chiarificazioni e dichiarazioni nostre, recenti precisazioni e spiegazioni di alti prelati sul comunismo e la religione, sul materialismo dialettico, ecc., dovrebbero servire a far vincere ogni scrupolo che ancora sussiste contro la realizzazione di una feconda collaborazione tra comunisti, democristiani e cattolici in generale.

    Già delle nostre organizzazioni di partito hanno dichiarato, ed io proopongo che il Congresso prenda a suo conto queste dichiarazioni e le faccia proprie: primo, che il Partito Comunista non è un partito ateo, perché esso accetta nelle sue fila fedeli di qualunque religione; secondo che l’adesione al partito comunista non implica l’accettazione delle dottrine filosofiche del materialismo; terzo, che l’anti-clericalismo è sempre stato condannato ed è condannato tutt’ora dal Partito comunista.

    Queste dichiarazioni hanno dato luogo ad alcune precisazioni da parte di un dotto ecclesiastico di Torino, professore e pubblicista, il quale non ha parlato solo a nome proprio, avendo sentito prima le sue superiori gerarchie ecclesiastiche.

    Questo prelato ha dichiarato tra l’altro: “Un comunismo che non implichi l’accettazione di premesse ateistiche o anti-cristiane per sé non cade sotto la condanna della Chiesa. L’appartenenza ad un partito politico che non imponga pregiudiziali irreligiose ai suoi iscritti, non può dar luogo a legittime esclusioni dai sacramenti e benefici della Chiesa. Indubbiamente il comunismo e il socialismo ― è sempre il prelato che parla ― contengono nei loro programmi economici e sociali princìpi di giustizia, di eguaglianza, di solidarietà umana riconosciuti da tutti e condivisi dal cristianesimo, che anzi si possono ritenere come fermenti cristiani”.

    E ancora:

    “Tanto il cristianesimo quanto il comunismo hanno un contenuto universalistico, esercitano una profonda influenza e appariscono ai più acuti conoscitori dei fenomeni sociali come le forze uniche capaci di rigenerare socialmente il mondo. Ciò posto, ― conclude il prelato ― è facile rilevare che un conflitto irriducibile fra cristianesimo e comunismo sarebbe terribile, sanguinosissimo, micidiale alla stessa civiltà16. Mentre invece una reciproca tolleranza e intesa (incominciata nella ricerca di ciò che ci unisce invece che di ciò che ci divide) potrebbe dar principio ad una vigorosa rieducazione dei popoli e alla possibilità di resuscitare, almeno per un millennio, una nuova forma di vita e di civiltà, quale non fu mai forse raggiunta nel passato”17.

    Come si vede la possibilità di una stretta collaborazione tra tutte le forze democratiche, non escluse quelle cattoliche, non è fuori della realtà del momento. Si tratta di volere questa collaborazione e di lavorarvi. La devono volere e vi devono lavorare soprattutto la classe operaia ed i due partiti che si richiamano ad essa: il socialista e il comunista. […]

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    Dal discorso di Palmiro Togliatti alla Costituente sull’articolo 7. 25 marzo 1947

    (da Comunisti e cattolici, cit., pp 30 – 41)

    […] Non abbiamo avuto alcuna difficoltà, sin dall’inizio, ad approvare la prima parte dell’articolo, quella nella quale si dice che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

    Non solo non abbiamo avuto difficoltà, ma i colleghi della prima Sottocommissione ricordano senza dubbio che questa formulazione è stata data da me stesso18.

    E qui permettetemi un ricordo.

    L’onorevole Dossetti, riferendosi a questa prima parte dell’articolo che stiamo discutendo, cercando di darne una giustificazione dottrinaria, diceva che questa si può trovare in un corso di diritto ecclesiastico, tenuto precisamente nel 1912, all’Università di Torino, dal senatore Francesco Ruffini.

    Voi mi consentirete di ricordare all’onorevole Dossetti che sono stato allievo di quel corso, che l’ho frequentato quel corso, che ho dato l’esame di diritto ecclesiastico su quelle dispense che egli ha citato e lodato. È, forse, per questo che non ho trovato difficoltà a dare quella formulazione. Ricordo però anche che quelle lezioni non erano frequentate soltanto da me. Veniva alle volte e si sedeva in quell’aula, un uomo, un grande scomparso, amico e maestro mio, Antonio Gramsci, e uscendo dalle lezioni e passeggiando in quel cortile dell’Università di Torino, oggi semidistrutto dalla guerra, egli parlava con me anche del problema che ci occupa in questo momento, dei problemi dei rapporti fra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano. Eravamo allora entrambi giovanissimi, entrambi all’inizio della nostra vita politica, e ci sforzavamo di individuare quali erano le origini e quali avrebbero potuto essere le sorti future di quel contrasto tra lo Stato e la Chiesa che allora era ancora per gran parte in atto in Italia, ma che in parte era superato o si stava superando, e ricordo che Gramsci mi diceva che il giorno in cui si fosse formato in Italia un governo socialista, in cui fosse sorto un regime socialista, uno dei principali compiti di questo governo, di questo regime, sarebbe stato di liquidare completamente la questione romana garantendo piena libertà alla Chiesa cattolica19.

    […] Prima affermazione fondamentale: la rivendicazione della libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa. Il progetto di Costituzione, per questa parte, ci soddisfa. Noi appoggeremo tutte quelle proposte le quali tenderanno a rendere sempre più tranquille le coscienze di tutti i credenti di tutte le fedi, garantendo loro tutte le libertà di cui hanno bisogno per esplicare il loro culto e svolgere la loro propaganda.

    Seconda affermazione: consideriamo definitiva la soluzione della questione romana, e non vogliamo in nessun modo riaprirla.

    Terza affermazione: riteniamo che il Concordato sia uno strumento bilaterale e che solo bilateralmente potrà essere riveduto.

    […] L’onorevole Nenni ha parlato dell’Osservatore Romano come d’un giornale tra gli altri. No, questo non è esatto e questo non basta. Permettetemi di parlare dell’Osservatore Romano come dell’esponente autorizzato dell’altra parte. Esso è l’unica voce, l’unico mezzo che abbiamo per conoscere che cosa pensa la Santa Sede, la quale è firmataria, insieme con i rappresentanti di allora dello Stato italiano, degli atti di cui stiamo discutendo.

    Orbene, le affermazioni a questo proposito dell’organo ufficiale autorizzato della Santa Sede non sono equivoche. Prendo soltanto quattro degli articoli consacrati, in date diverse, alla trattazione di questo problema dall’Osservatore Romano e vi trovo le stesse affermazioni.

    Il 13 di marzo: “Simile omissione (l’omissione del richiamo al Trattato e al Concordato nella Costituzione) significherebbe nella realtà… non un silenzio, non una lacuna, ma una minaccia, un pericolo. La minaccia alla pace religiosa, il pericolo di vederla turbata per la possibilità che lo sia”.

    Il 19 dello stesso mese: “Questo eventuale diniego (si tratta sempre del diniego del richiamo esplicito ai Patti), il sostenerlo necessario, il presagirlo possibile, turba già la pace e l’unità spirituale del popolo, il quale può ben pensare fin d’ora che tale pace, tale unità è minacciata per l’avvenire, se al suo unico fondamento si vuol… togliere la sicurtà costituzionale”.

    Il 20 e il 21 dello stesso mese: “Per quanto si protesti fin d’ora di non voler cadere nell’anticlericalismo di maniera, né in una lotta contro la religione, tuttavia (se si esclude dall’articolo 7 il richiamo costituzionale ai Patti lateranensi), pace religiosa… certissimamente non sarà, purtroppo”.

    togliatti e il comintern

    Il 22 marzo: “Se realmente si vuole che nessuna lotta a carattere religioso turbi il faticoso rinnovamento della Patria, perché mai così manifesto timore di riaffermare, in un momento e in un doumento solenne, l’efficacia di Patti sottoscritti non soltanto tra un governo ed altro governo, tra uno Stato e altro Stato, bensì tra il popolo italiano e la sua fede e la sua Chiesa?”

    Non vi è dubbio che ci troviamo di fronte a un’esplicita manifestazione di volontà dell’altra parte, della Chiesa cattolica, della Santa Sede. Ed è questo il punto da cui dobbiamo partire, onorevoli colleghi, nel determinare la nostra posizione. Questo è il punto da cui dobbiamo partire, dal momento che tutte le questioni da noi precedentemente sollevate sono state sempre subordinate a una esigenza fondamentale, quella di non turbare la pace religiosa del nostro Paese.

    […] Abbiamo bisogno della pace religiosa, né possiamo in nessun modo consentire a che essa venga turbata.

    Ora, il contrario del termine “pace” è “guerra”. È vero che per fare la guerra bisogna essere in due e che una delle parti può sempre dichiarare ― come fai tu, compagno Nenni ― “noi la guerra non la vogliamo”; ma per dichiararla, la guerra, basta uno solo. Di questo bisogna tener conto20.

    Questa è la situazione reale, di fatto, che oggi esiste, e noi, Partito comunista, che dal momento in cui abbiamo incominciato ad agire legalmente nel Paese, sempre abbiamo avuto tra i nostri principali obiettivi quello di mantenere la pace religiosa, non possiamo trascurare quella situazione, anzi dobbiamo tenerne conto e adeguare ad essa la nostra posizione e, di conseguenza, il nostro voto.

    […] Non vi è contrasto fra un regime socialista e la coscienza religiosa di un popolo; […] non vi è nemmeno contrasto fra un regime socialista e la libertà religiosa della Chiesa, e in particolare di quella cattolica.

    […] Siamo convinti, dando il nostro voto all’articolo che ci viene presentato, di compiere il nostro dovere verso la classe operaia e le classi lavoratrici, verso il popolo italiano, verso la democrazia e la Repubblica, verso la nostra Patria. 

     Gramsci_1922

    Antonio Gramsci

     

    (Articolo de La Correspandance Internationale del 12 marzo 1924, firmato G. Masci)

    (tratto da Antonio Gramsci, Sul fascismo, Editori Riuniti, 1978, Roma, pp. 220-224)

    Il Vaticano è senza dubbio la più vasta e potente organizzazione privata che sia mai esistita. Ha, per certi aspetti, il carattere di uno Stato, ed è riconosciuto come tale da un certo numero di governi. Benché lo smembramento della monarchia austro-ungherese abbia considerevolmente diminuito la sua influen­za, esso rimane tuttora una delle forze politiche più efficienti della storia moderna. La base organizzati­va del Vaticano è in Italia: qui risiedono gli organi dirigenti delle organizzazioni cattoliche, la cui com­plessa rete abbraccia una gran parte del globo.

    In Italia l’apparato ecclesiastico del Vaticano si comporta di circa 200.000 persone; cifra imponente, so­prattutto quando si consideri che essa comprende migliaia e migliaia di persone dotate di intelligenza, cultura, abilità consumata nell’arte dell’intrigo e nella preparazione e condotta metodica e silenziosa dei disegni politici. Molti di questi uomini incarnano le più vecchie tradizioni d’organizzazione delle masse e, di conseguenza, la più grande forza reazionaria esistente in Italia, forza tanto più temibile in quanto insidiosa e inafferrabile. Il fascismo prima di tentare il suo colpo di Stato dovette trovare un accordo con essa. Si dice che il Vaticano, benché molto interessato all’avvento del fascismo al potere, abbia fatto pa­gare molto caro l’appoggio al fascismo. Il salvataggio del Banco di Roma, dove erano depositati tutti i fondi ecclesiastici, è costato, a quel che si dice, più di un miliardo di lire al popolo italiano.

    Poichési parla spesso del Vaticano e della sua influenza senza conoscerne esattamente la struttura e la reale forza d’organizzazione, non è senza interesse darne un’idea precisa. Il Vaticano è un nemico in­ternazionale del proletariato rivoluzionario. È evidente che il proletariato italiano dovrà risolvere in gran parte con mezzi propri il problema del papato, ma è egualmente evidente che non vi arriverà senza il concorso efficace del proletariato internazionale. L’organizzazione ecclesiastica del Vaticano riflette il suo carattere internazionale. Essa costituisce la base del potere del papato in Italia e nel mon­do. […].

     

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    Lettera 194 – 15 giugno 1931 (da Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, Editrice l’Unità, 1988, in due volumi)

     

    Carissima mamma,

    […] Tu non puoi immaginare quante cose io ricordo in cui tu appari sempre come una forza benefica e piena di tenerezza per noi. Se ci pensi bene tutte le questioni dell’anima e dell’immortalità dell’anima e del paradiso e dell’inferno non sono poi in fondo che un modo di vedere questo semplice fatto: che ogni nostra azione si trasmette negli altri secondo il suo valore, di bene e di male, passa di padre in figlio, da una generazione all’altra in un movimento perpetuo. Poiché tutti i ricordi che noi abbiamo di te sono di bontà e di forza e tu hai dato le tue forze per tirarci su, ciò significa che tu sei, già da allora, nell’unico paradiso reale che esista, che per una madre penso sia il cuore dei propri figli. Vedi cosa ti ho scritto? Del resto non devi pensare che io voglia offendere le tue opinioni religiose e poi penso che tu sei d’accor­do con me più di quanto non pare. Di’ a Teresina che aspetto l’altra lettera che mi ha promesso. Ti ab­braccio teneramente con tutti di casa. Antonio.

     

    CANFORA SU GRAMSCI

    Quaderno 3 (XX) – 1930: <Miscellanea> – § <140>. Cattolicismo e laicismo. Religione e scienza, ecc.. (da Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino, 1975, in quattro volumi)

     

    Leggere il libretto di Edmondo Cione, Il dramma religioso dello spirito moderno e la Rinascenza, Na­poli, Mazzoni, 1929, pp. 132. Svolge questo concetto: “la Chiesa, forte della sua autorità, ma sentendo il vuoto aleggiarle nella testa, priva di scienza e di filosofia; il Pensiero, forte della sua potenza, ma ane­lante invano alla popolarità ed all’autorità della tradizione”. Perché “invano”? Intanto non è esatta la contrapposizione di Chiesa e di Pensiero, o almeno nell’imprecisione del linguaggio si annida tutto un modo errato di pensare e di agire, specialmente. Il Pensiero può essere contrapposto alla Religione di cui la Chiesa è l’organizzazione militante. I nostri idealisti, laicisti, immanentisti ecc. hanno fatto del Pen­siero una pura astrazione, che la Chiesa ha bellamente preso sottogamba assicurandosi le leggi dello Stato e il controllo dell’educazione. Perché il “Pensiero” sia una forza (e solo come tale potrà farsi una tradizione) deve creare un’organizzazione, che non può essere lo Stato, perché lo Stato ha rinunziato in un modo o nell’altro a questa funzione etica quantunque la proclami ad altissima voce, e deve perciò na­scere nella società civile.

    Togliatti_al_VII_Congresso_del_PCI 

    Quaderno 4 (XIII) – 1930 – 1932: Appunti di filosofia I – § <45>. Struttura e superstrutture. (da Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, cit.)

     

    […]. La religione è la più ‘mastodontica’ utopia, cioè la più ‘mastodontica’ metafisica apparsa nella sto­ria, essa è il tentativo più grandioso di conciliare in forma mitologica le contraddizioni storiche: essa af­ferma, è vero, che l’uomo ha la stessa ‘natura’, che esiste l’uomo in generale, creato simile a Dio e perciò fratello degli altri uomini, uguale agli altri uomini, libero fra gli altri uomini, e che tale egli si può con­cepire specchiandosi in Dio, ‘autocoscienza’ dell’umanità, ma afferma anche che tutto ciò non è di questo mondo, ma di un altro (utopia). […].

    Gramsci

     

    Quaderno 5 (IX) – 1930 – 1932: <Miscellanea> – § <7>. Sul “pensiero sociale” dei cattolici. (da Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, cit.)

     

    […]. In realtà la Chiesa non vuole compromettersi nella vita pratica economica e non si impegna a fon­do, né per attuare i principi sociali che afferma e che non sono attuati, né per difendere, mantenere o re­staurare quelle situazioni in cui una parte di quei principi era già attuata e che sono state distrutte. Per comprendere bene la posizione della Chiesa nella società moderna, occorre comprendere che essa è di­sposta a lottare solo per difendere le sue particolari libertà corporative (di Chiesa come Chiesa, organiz­zazione ecclesiastica), cioè i privilegi che proclama legati alla propria essenza divina: per questa difesa la Chiesa non esclude nessun mezzo, né l’insurrezione armata, né l’attentato individuale, né l’appello al­l’invasione straniera. Tutto il resto è trascurabile relativamente, a meno che non sia legato alle condi­zioni esistenziali proprie. Per “dispotismo” la Chiesa intende l’intervento dell’autorità statale laica nel limitare o sopprimere i suoi privilegi, non molto di più: essa riconosce qualsiasi potestà di fatto, e pur­ché non tocchi i suoi privilegi, la legittima; se poi accresce i privilegi, la esalta e la proclama provviden­ziale.

    Date queste premesse, il “pensiero sociale” cattolico ha un puro valore accademico: occorre studiarlo e analizzarlo in quanto elemento ideologico oppiaceo, tendente a mantenere determinati stati d’animo di aspettazione passiva di tipo religioso, ma non come elemento di vita politica e storica direttamente atti­vo. Esso è certamente un elemento politico e storico, ma di un carattere assolutamente particolare: è un elemento di riserva, non di prima linea, e perciò può essere in ogni momento “dimenticato” praticamente e “taciuto”, pur senza rinunziarvi completamente, perché potrebbe ripresentarsi l’occasione in cui sarà ripresentato. I cattolici sono molto furbi, ma mi pare che in questo caso siano troppo furbi.

     

    Antonio-Gramsci

    Quaderno 5 (IX) – 1930 – 1932: <Miscellanea> – § <58>. L’Azione cattolica. (da Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, cit.)

     

    Una delle misure più importanti escogitate dalla Chiesa per rafforzare la sua compagine nei tempi moderni è l’obbligo fatto alle famiglie di far fare la prima comunione ai sette anni. Si capisce l’effetto psi­cologico che deve fare sui bambini di sette anni l’apparato cerimoniale della prima comunione, sia come avvenimento familiare individuale, sia come avvenimento collettivo: e quale fonte di terrori divenga e quindi di attaccamento alla Chiesa. Si tratta di “compromettere” lo spirito infantile appena incomincia a riflettere. Si capisce perciò la resistenza che la misura ha trovato nelle famiglie, preoccupate dagli effet­ti deleteri sullo spirito infantile di questo misticismo precoce e la lotta della Chiesa per vincere questa opposizione. (Ricordare nel Piccolo Mondo Antico di Fogazzaro la lotta tra Franco Maironi e la moglie quando si tratta di condurre la bimbetta in barca, in una notte tempestosa, ad assistere alla messa di Natale: Franco Maironi vuol creare nella bimba dei “ricordi” incancellabili, delle “impressioni” decisive; la moglie non vuole turbare lo sviluppo normale dello spirito della figlia, ecc.).

    postato il 21 febbraio 2014

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