• John Fitzgerald Kennedy – Un assassinio di stato – (Parte seconda)

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     Dopo cinquant’anni dall’omicidio del Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, sembra sceso un definitivo silenzio sulla ricerca della verità di questo crimine. Kennedy è uno dei tanti “insepolti” della storia. Certamente il suo assassinio non fu un gesto isolato di un folle come sostennero prima la polizia e poi la commissione Warren.

     

    Leggendo questo lungo articolo, estratto dalla Commissione Warren, che pubblicheremo in tre parti, potrete farvi un’idea della dinamica e degli accadimenti dei giorni e mesi che seguirono questo delitto. Potrete anche conoscere gli attori di questo caso “irrisolto” di cui forse non si saprà mai la verità vera. A meno che gli archivi dell’FBI, che verranno aperti tra quattro anni, non svelino le dinamiche del complotto e i mandanti del crimine.

     

    L’assassinio del presidente Kennedy

     

    Estratto del rapporto della Commissione Warren

     

    Seconda parte

    (Leggi qui la prima parte)

     

    Warren

     

    La commissione Warren

     

    Il presidente Johnson, d’accordo con i suoi collaboratori, e in particolare con Robert Kennedy, ministro della Giustizia, designò i membri di una commissione incaricata di condurre l’inchiesta sull’assassinio del presidente Kennedy. Tra i membri della commissione figuravano due senatori, Russell e Cooper, due membri della camera dei rappresentanti, Ford e Boggs, un banchiere, John J. Mc Cloy, l’ex capo della CIA, Allen Dulles, e infine Earl Warren, primo presidente della Corte Suprema, il quale presiedette la commissione. In tutto, due democratici del Sud, due repubblicani, due giuristi e un uomo d’affari.

     

    Lo scopo della commissione Warren era di far luce sui fatti? Oppure di condurre un’inchiesta, tanto per mettere a tacere l’opinione pubblica, prima delle elezioni presidenziali che si sarebbero tenute nel novembre del 1964? Nessun dubbio che questo secondo scopo fosse quello che maggiormente stava a cuore ai sette membri della commissione. Questi uomini politici – quattro di loro partecipavano alla lotta elettorale – volevano solo cancellare l’increscioso avvenimento di Dallas dalla vita politica, archiviandolo una volta per tutte in una specie di libro bianco.

     

    La commissione prese in esame innumerevoli documenti – pubblicati in 28 volumi – raccolse numerose testimonianze, ma mai svolse indagini in direzioni diverse da quelle già affrontate dalla polizia di Dallas e dall’FBI.

     

    La commissione Warren è poi giunta a una conclusione precisa: Oswald è l’unico colpevole. Oswald, Ruby e Tippit non si conoscevano, perciò non c’era stato complotto.

     

    Per giungere a questa conclusione senza riserve, la commissione deve aver chiuso gli occhi. In nome della verità, siamo costretti ad affermare che le scelte fatte non sono sempre convincenti.

     

    l) La commissione non ha scoperto alcuna prova di cospirazione, di sovversione o di slealtà nei confronti del governo degli Stati Uniti, da parte di alcun funzionario del governo federale, dello Stato o locale, ma i sette membri non dicono come la polizia abbia limitato l’inchiesta a un solo individuo sospetto. Essi riconoscono tuttavia che le dichiarazioni di Oswald non sono state messe a verbale dalla polizia, e che ciò costituisce una negligenza incredibile, o meglio, l’omissione di atti importanti ai fini dell’istruttoria.

     

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    2) La Commissione concluse che Oswald aveva ucciso l’agente Tippit quarantacinque minuti dopo l’omicidio del presidente Kennedy, e giunse a questa conclusione perché due testimoni oculari hanno visto l’assassino di Tippit, mentre sette testimoni oculari hanno sentito alcuni spari e hanno visto l’omicida abbandonare il luogo del delitto con un revolver in mano, ma i sette componenti della commissione Warren non dicono come Tippit sia stato in grado di riconoscere in Oswald l’assassino del presidente, né perché Oswald abbia ucciso l’agente. Essi si limitano a concedere ulteriore credito alla testimonianza unica e alquanto imprecisa della signora Markham.

     

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    3) La commissione dichiara che il fucile italiano Mannlicher-Carcarto, calibro 6,5, dal quale partirono i colpì, apparteneva a Oswald ed era in suo possesso.

     

    Ancora una volta, i membri della commissione si sono basati esclusivamente sulle dichiarazioni della signora Oswald, una donna incapace di distinguere due armi simili, e su prove relativamente vaghe concernenti l’ordinazione dell’arma. Per di più, i sette membri smentiscono le dichiarazioni della polizia di Dallas: l’esame della paraffina è risultato negativo. Oswald dunque non avrebbe sparato?

     

    4) La commissione assicura che i colpi di arma da fuoco che uccisero il presidente Kennedy e ferirono il governatore Connally furono sparati da Oswald. Essa ha concluso che Oswald era un tiratore sufficientemente abile da portare a termine l’omicidio, ma i sette membri della commissione Warren affermano che Oswald non era, come al contrario aveva affermato la polizia di Dallas, un tiratore scelto, bensì un tiratore ordinario. La commissione ha incaricato tre tiratori scelti di sparare, in sei secondi, contro un bersaglio immobile, servendosi di un fucile dello stesso tipo di quello usato per portare a termine l’assassinio del presidente. Questi tre campioni sono riusciti a colpire il bersaglio solo tredici volte su diciotto. Questa perizia sembra dimostrare che e Oswald non era in grado di compiere una simile prodezza.

     

    Per suffragare le sue conclusioni, la commissione considera valida la dichiarazione del testimone Brennan, il quale avrebbe visto Oswald sparare in piedi. Eppure la commissione precisa che Oswald non poteva prendere la mira se non da seduto, oppure inginocchiato, e che Brennan era stato influenzato dalla televisione, dove forse per la prima volta aveva visto Oswald.

     

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    5) La commissione afferma che; tutti i proiettili che avevano provocato le ferite del presidente e del governatore Connally erano partiti dalla finestra situata al quinto piano del Texas School Book Depository, e i membri della commissione precisano che i colpi sparati erano solo tre. Il foro nel parabrezza della Lincoln presidenziale era solo una scalfittura causata dal rimbalzo di un frammento di proiettile all’interno del parabrezza. Niente spari dal ponte, dunque, né da altri luoghi che non fossero la biblioteca.

     

    Nessun problema perciò di ferite provocate da un colpo sparato frontalmente. I medici di Dallas si sono sbagliati e, dopo essere venuti a conoscenza delle conclusioni dei colleghi di Bethesda, hanno ritrattato la loro versione. Per di più, il direttore della clinica di Dallas ha bruciato tutti i documenti relativi agli esami praticati e non ha conservato alcuna copia delle note mediche. Il rapporto Warren precisa che la tracheotomia praticata d’urgenza sul presidente a Dallas, ha reso in seguito difficile l’esame della ferita anteriore.

     

    Per giunta, la testimonianza della signora Kennedy, la quale dichiarò che il marito aveva portato con gesto brusco una mano alla gola, è stata esclusa dal rapporto.

     

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    In breve, il rapporto Warren è, secondo lo storico britannico Trevor-Roper, «una pubblicità fatta alla causa dell’accusatore pubblico» ogni particolare «complicato» è stato accuratamente soppresso, mentre sono state esaminate solo le testimonianze in accordo con la verità che la commissione aveva deciso di dimostrare, ancor prima che l’inchiesta avesse inizio.

     

    A causa delle sue contraddizioni intrinseche e del suo orientamento troppo unilaterale, il rapporto Warren non ha convinto troppo chi si è preso la briga di leggerlo.

     

    I sette membri della commissione hanno dichiarato che la possibilità che altre persone abbiano partecipato all’attentato, sia come complici di Oswald, sia come complici di Ruby, non può essere stabilita in modo inequivocabile, ma se un tal fatto è vero … la commissione non è al corrente.

     

    Come dire che il rapporto custodiva la sua parte di mistero.

     

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    Nuove ipotesi

     

    In seguito, sono state avanzate nuove critiche. Uno studioso americano, Edward Jay Epstein, ha eseguito una contro-inchiesta, come tesi di laurea sostenuta all’università Cornell.

     

    Epstein non contesta e non mette in dubbio i risultati sostanziali della commissione Warren. Ma passando al vaglio il rapporto, stabilito da individui che avevano fretta di finire, egli conclude:

     

    «Se non c’è alcuna prova che dimostri la presenza di un secondo assassino, non c’è nemmeno alcuna prova che dimostri che l’assassino doveva essere uno solo».

     

    Epstein fa notare che una delle pallottole che avrebbe colpito Kennedy avrebbe dovuto, secondo la commissione, colpire anche il governatore del Texas, John Connally.

     

    Ora, una affermazione di questo genere non è provata, dal momento che è «evidente che tutto sta a dimostrare l’impossibilità che i due uomini siano stati colpiti da una stessa pallottola».

     

    Certamente Oswald è colpevole, ma nessuno è in grado di affermare con precisione quanti colpi di fucile sono stati sparati contro il corteo presidenziale.

     

    Dopo la pubblicazione del rapporto Warren, la stampa si fece portavoce di diverse opinioni. Alcuni giornalisti, confermando le critiche di E.J. Epstein, hanno fatto notare che i membri della commissione hanno assistito, in media, solo al 45% degli interrogatori e che parecchi testimoni importanti sono stati completamente lasciati da parte, dando per contro gran peso a testimonianze secondarie.

     

    A proposito dell’esame medico-legale, uno dei medici dell’ospedale navale di Bethesda, il dottor Boswell, asserisce di aver compiuto un errore nel prospetto che lui ha passato all’FBI. Un consigliere aggiunto della commissione Warren, Arlen Specter, ex redattore capo del Yale Law lournal, assicura che le sessantacinque fotografie e radiografie dell’autopsia non sono state esaminate dai membri della commissione, particolare questo che è stato confermato da uno degli stessi membri, Hale Boggs.

     

    Il governatore Connally, approvando le conclusioni del rapporto Warren, sostiene di non essere stato ferito dalla stessa pallottola che aveva colpito il presidente: il che appoggia la tesi di Epstein, nella quale, per  deduzione logica, bisognerebbe credere all’esistenza di almeno due assassini.

     

    Queste critiche erano gravi soprattutto per il fatto che venivano avanzate in piena preparazione della campagna elettorale di Robert Kennedy. Quest’ultimo, l’1 novembre 1966, fece allora dono agli archivi nazionali di 65 documenti, con la proibizione di consultarli prima del 1972, e cioè prima della elezione presidenziale alla quale contava di presentarsi come candidato.

    (Robert Kennedy poi decise di presentare la propria candidatura nel 1968. Sappiamo quello che avvenne.)

     

    Questi documenti sono stati consultati da due esperti, nel 1972, con l’autorizzazione di Burke Marshall, decano della Facoltà di Diritto di Yale e rappresentante della famiglia Kennedy. Il primo di questi due esperti, il dottor Lattimer, dell’Università Columbia, ha confermato le conclusioni della commissione Warren: nessun colpo d’arma da fuoco era stato sparato di fronte; la seconda pallottola fu fatale al presidente, quella che ferì pure il governatore Connally. Il secondo esperto, il dottor Wecht, medico legale dell’università di Pittsburgh, è giunto a una conclusione esattamente opposta a quella del suo collega, avanzando anche dei dubbi sulla competenza del dottor Lattimer, un urologo.

     

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    Il 28 agosto 1972, Wecht ha dichiarato:  «Il fatto è che le prove dimostrano  come una persona, da sola, non può aver compiuto l’attentato. Bisognava che ci fossero almeno due tiratori ».

     

    Quanto alla seconda pallottola, Wecht dice: «Sono rimasto molto sorpreso dalla sua forma. Quando la si esamina dopo avere osservato i diversi film, non si può avere il minimo dubbio che essa non abbia attraversato il corpo del presidente, per poi ferire il governatore ».

     

    Ipotesi ancora più fantastiche sono state avanzate. Il procuratore di New Orleans, Jim Garrison, suscitò un vespaio quando, il 23 febbraio 1967 dichiarò:

     

    «Non ho, per il momento, nessuna ragione di credere che Lee Harvey Oswald abbia ucciso qualcuno, a Dallas».

     

    Garrison aveva condotto un’inchiesta di sua iniziativa, sul complotto che, secondo lui, era all’origine dell’attentato. Era giunto a una conclusione provvisoria: il presidente era stato ucciso da ex membri della CIA, almeno sette, che volevano a tutti i costi evitare la riconciliazione degli Stati Uniti con I’Unione Sovietica e con Cuba, cui Kennedy pensava.

     

    Il fatto è – lo si venne a sapere in seguito – che John Kennedy aveva deciso di mettere un freno alle iniziative della CIA, fatto questo che aveva scontentato gli americani di estrema destra e alcuni cubani emigrati, che lavoravano per la CIA. Questo li avrebbe indotti a “eliminare” il presidente.

     

    L’inchiesta del procuratore Garrison terminò con la morte improvvisa – si pensa a un suicidio – avvenuta il 22 febbraio 1967, del suo principale indiziato, David Ferrie, un pilota che era stato un tempo collega di Oswald, e con l’assoluzione, nel 1969, di Clay Shaw, un agente della CIA.

     

    Da parte sua, uno specialista di cervelli elettronici, Richard Spargue, ha confermato la tesi del complotto. Esaminando per mezzo di un cervello elettronico circa venticinquemila tra fotografie e fotogrammi, presi sul luogo da 75 fotografi e da cineasti di professione, oppure da cineamatori, tra i quali il sarto Zapruder, ha potuto individuare le tracce di sei colpi di arma da fuoco. (In: Computers and Automation Magazine. Newtonville (Mass.), maggio 1970.) Ma questa conclusione non è decisiva.

     

    Infine, un esperto canadese di psicologia, André Roch Lecours, ha proceduto a un esame approfondito della scrittura di Oswald, basandosi sul diario che costui aveva scritto durante il soggiorno a Minsk e a Mosca, nel periodo che andava dall’ottobre 1959 al marzo 1961. (A. R. Lecours, Dept. of Psychology)

     

    Questa analisi mette in luce una dislessia (Dislessia: disturbo psicologico che si manifesta con difficoltà nel leggere, cioè i soggetti dislessici sono costretti a interrompersi spesso durante la lettura)  congenita, il che dimostrerebbe l’impossibilità da parte di Oswald a concentrarsi il tempo sufficiente per sparare; in parole povere, un uomo che era incapace di concentrarsi su quanto scriveva o leggeva per più di qualche secondo, non poteva assolutamente essere in grado di sparare, nello spazio di sei secondi, tre colpi contro un bersaglio mobile che nel frattempo si spostava di trenta metri, neppure se avesse sparato il secondo e il terzo colpo uno dietro l’altro, senza prendere di nuovo la mira, come fanno i cacciatori.

     

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    Ecatombe di testimoni

     

    Dopo la morte di Oswald, il pubblico si aspettava che, durante il processo di Jack Ruby, alias Rubinstein, la verità venisse finalmente a galla. Si sapeva che Ruby, figlio di ebrei polacchi, nato a Chicago, aveva un passato assai sporco. Gerente di due ritrovi notturni di Dallas, aveva collezionato, nel corso degli ultimi dieci anni, diverse accuse per violenza, possesso illegale di armi, infrazioni alla legge sugli alcolici, era, però, finito in tribunale solo due volte, e tutte e due le volte non era stato condannato. Ruby doveva perciò avere qualche amicizia nella polizia, amicizia senza dubbio ottenuta con il denaro, o con favori, poco leciti, di altro tipo.

     

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    Ruby l’assassino di Lee Oswald

     

    La commissione Warren ha stabilito che Ruby era, nel Texas, il rappresentante di un sindacato di giochi clandestini, con ramificazioni in tutta l’America. Nel 1959 si era recato a Cuba, dove aveva alcuni legami con anticastristi. Si sa pure che il sindacato che aveva in mano la rete dei giochi d’azzardo disponeva all’Avana di capitali considerevoli, capitali che il sindacato desiderava recuperare, e si sapeva, inoltre, che il clan Kennedy aveva combattuto alcune bande, ciò significa che, automaticamente, ne aveva favorite altre. È innegabile che la commissione Warren avrebbe dovuto condurre la sua inchiesta in questa direzione. Ruby dichiarò a Earl Warren in persona: «Vi dirò tutto quello di cui sono a conoscenza, ma non davanti a costoro (i poliziotti di Dallas)».

     

    Oppure: «C’è una qualsiasi possibilità di condurmi a Washington? Fatemi trasferire a Washington, se ci tenete ad ascoltare il seguito della mia deposizione ».

     

    Ma il presidente non accordò mai il permesso di trasferimento. Da allora Ruby fu solo un testimone molesto. Tre giornalisti troppo curiosi, oppuretroppo perspicaci, che avevano interrogatoRuby, scomparvero poco dopo, incircostanze misteriose. Dorothy Kilgallen aveva assistito a un incontro tra Warren e Ruby: la donna fu ritrovata morta, nel suo appartamento di New York. Abuso di alcolici o di sonniferi, è stato detto! William Hunter e James Koethe si erano introdotti in casa di Ruby, dopo la morte di Oswald, e avevano interrogato il suo migliore amico, George Senator, e il suo avvocato Tom Howard. Hunter venne ucciso “accidentalmente” da una pallottola vagante, sparata da un agente alla Centrale di polizia di Long Beach. Koethe venne ucciso a casa sua con un colpo di karatè, senza che mai l’assassino venisse individuato.

     

    Howard doveva morire poco dopo in seguito a crisi cardiaca. (R. Rojas, un giornalista cileno che nel 1964 aveva condotto un’inchiesta accurata sui legami di Oswald e dí Ruby con la malavita, dovette abbandonare gli Stati Uniti.)

     

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    Due amiche di Ruby, due spogliarelliste, Karen Carlin, l’ultima persona che aveva parlato con lui prima che sparasse contro Oswald, e Nancy Mooney, informata che un certo Garner aveva tentato di uccidere il principale testimone dell’assassino dell’agente Tippit, morirono entrambe: alla prima spararono in una strada di Houston, mentre la seconda fu trovata impiccata nella prigione di Dallas. Il marito di un’altra spogliarellista, Henry Killam, che sapeva tutto – almeno così si diceva – dei legami che univano Oswald a Ruby, fu interrogato dalla polizia di Dallas, poi abbandonò la città. Morì con la gola tagliata, in Florida.

     

    Tutte le inchieste riguardanti queste morti sono state concluse in fretta.

     

    La morte di Ruby  dovette essere accolta come un sollievo. Il rifiuto di interrogarlo a Washington rimane inspiegabile: non si saprà mai se questo “giustiziere” si è portato nella tomba il suo segreto.

     

    Dallas, dieci anni dopo La capitale del Texas ha quasi dimenticato il dramma del 1963. I cittadini americani, sempre indaffaratissimi, non parlano più del dramma di Dallas, nemmeno se qualche commerciante ha aperto in città un bazar dove vende incredibili oggetti ricordo. I turisti si vedono offrire delle pipe con l’effigie del presidente, oppure delle saliere formate dal busto di John Fitzgerald Kennedy, e dalle quali il sale scende attraverso il foro aperto dal proiettile mortale!

     

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    La tomba di Oswald è situata in una zona appartata del cimitero di Dallas. Tutto ciò che concerne questo sinistro personaggio ha acquistato valore: perfino la lapide di granito è stata rubata!

     

    La vedova di Oswald ha recuperato, dopo innumerevoli richieste, lo storico fucile, un tempo corpo di reato, poi lo ha venduto per diecimila dollari. D’altra parte, Marina Oswald ha ricevuto da parte di privati cittadini doni per un ammontare di cinquantasettemila dollari, mentre da parte di diversi editori ha intascato centotrentaduemila dollari come anticipo sulle sue memorie.

     

    John Kennedy è sepolto nel «cimitero degli eroi » di Arlington. La sua immagine di presidente giovane, attivo, dinamico è rimasta nella memoria di tutti.

     

    Tutti coloro che hanno avuto a che fare con lui, tutti coloro che l’hanno visto anche solo una volta, hanno raccontato le loro memorie. Gli editori si sono buttati su questi testi che, sebbene mediocri, sono ritenuti inestimabili.

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    Tutto sembra essere stato detto a proposito del presidente assassinato e, a poco a poco, l’immagine di Kennedy si trasforma, mentre entra nella leggenda. A quarantasei anni, presidente da mille giorni, Kennedy non aveva dato ancora il meglio di se stesso. Il destino non gli ha lasciato il tempo di portare a termine quanto aveva iniziato: i suoi grandi progetti, anche se confusi, i suoi tentativi di apertura politica permettono ogni sorta di interpretazione, e autorizzano tutti i culti e tutte le condanne della posterità.

     

    Quanto al delitto, è evidente che la ragione di Stato gioca, oppure ha giocato, il suo ruolo in una partita condotta con cinismo a colpi di documenti ufficiali. Si potrà stabilire un giorno la verità?

     

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    Dallas prima della visita presidenziale

    L’intenzione espressa dal presidente Kennedy di recarsi nel Texas durante l’autunno del 1963 suscitò grande interesse in questo Stato. I due quotidiani di Dallas fornirono ai loro lettori un continuo flusso di notizie e di ipotesi riguardanti il viaggio; a cominciare dal 13 settembre, il Times Herald annunciava, in prima pagina, che il presidente Kennedy aveva intenzione di visitare, nell’arco di una sola giornata, quattro città del Texas: Dallas, Fort Worth, San Antonio e Houston. Il 26 settembre, i due quotidiani di Dallas citavano fonti della Casa Bianca, secondo le quali il presidente aveva effettivamente intenzione di recarsi nel Texas, il 2l e 22 novembre, e di fermarsi soprattutto a Dallas.

     

    Articoli, editoriali, lettere indirizzate al redattore capo, pubblicati nel Dallas Morning News e nel Dallas Times Herald dopo il 13 settembre, riflettevano la reazione dell’opinione pubblica alla notizia della visita presidenziale. Benché vi fossero stati editoriali e lettere che criticavano il presidente, gli articoli dei giornali testimoniavano il desiderio delle autorità di Dallas di mostrare dignità e cortesia, accogliendo il presidente. Un editoriale pubblicato nel Times Herald del 17 settembre esortava i cittadini di Dallas a «dimostrarsi ospiti amabili» a dispetto del fatto che «Dallas non ha votato per Kennedy nel 1960 e forse non voterà per lui nelle elezioni del 1964».

     

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    Il 3 ottobre, il Dallas Morning News citò le parole del deputato Joe Pool, il quale sperava che il presidente Kennedy sarebbe stato “ ben accolto” e non dovesse affrontare dimostrazioni come quella incontrata dal vice presidente Johnson, durante la campagna elettorale del 1960.

     

    Earle Cabell, sindaco di Dallas, lanciò un appello agli abitanti della città, invitandoli a riscattarsi nell’occasione della visita del presidente Kennedy. Il sindaco dichiarò che Dallas aveva perso la reputazione degli Anni Venti, quando la città passava per essere «la capitale dell’odio del sud-ovest di Dixie» (Termine impiegato per definire collettivamente gli Stati americani del sud)

     

    Il 26 ottobre, la stampa annunciò che il capo della polizia Curry si proponeva di fare intervenire cento poliziotti in più, oltre a quelli già in servizio, per assicurare la protezione del presidente Kennedy. Qualsiasi voce che il presidente potesse annullare la visita a Dallas venne meno, quando il governatore Connally confermò, l’8 novembre, che il presidente si sarebbe recato nel Texas il 2I e 22 novembre e che avrebbe visitato San Antonio, Houston, Fort Worth, Dallas e Austin.

     

    Per tutto il mese di novembre, i giornali di Dallas riportarono spesso i piani per la protezione del presidente, sottolineando la serietà dei preparativi. Essi comunicavano gli appelli lanciati alla popolazione dalle personalità cittadine, appelli che invitavano a non manifestare e a non provocare disordini durante la visita del presidente Kennedy.

     

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    Il 18 novembre, il consiglio municipale di Dallas emanò una nuova ordinanza che proibiva ogni sorta di interferenze per ostacolare le riunioni permesse dalla legge: due giorni prima dell’arrivo del presidente, il capo della polizia Curry dichiarò che la polizia di Dallas non avrebbe tollerato manifestazioni che si fossero svolte durante la visita del presidente.

     

    Un’altra reazione all’imminente visita di Kennedy – questa ostile al presidente – si manifestò poco prima del suo arrivo. Il 21 novembre, un volantino anonimo venne distribuito nelle strade di Dallas, stampato a imitazione degli “avvisi di ricerca” diffusi dalla polizia, il volantino riproduceva due fotografie del presidente Kennedy. Una di faccia, l’altra di profilo, sotto le quali si leggeva la seguente scritta: «Ricercato per tradimento ». Seguiva una serie di accuse ingiuriose e diffamatorie nei confronti del presidente.

     

    Il giorno stesso dell’arrivo del presidente a Dallas, il Morning News pubblicò un annuncio listato di nero che si intitolava: «Benvenuto a Dallas, signor Kennedy»,  annuncio offerto dall’American Factfinding Committee (Comitato americano di Inchiesta) in realtà, come appare evidente dalla deposizione resa in seguito dal responsabile di questa pagina, si trattava di un comitato fittizio, «formato allo scopo di avere un nome da mettere sul giornale». Il messaggio di benvenuto era composto da una serie di dichiarazioni e di domande che criticavano il presidente e la sua amministrazione.

     

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    Le visite alle altre città del Texas

     

    Il 21 novembre 1963, alle 10.45 (ora locale)il presidente e la signora Kennedyiniziarono il loro viaggio nel Texas, lasciandola Casa Bianca a bordo di un elicottero,per recarsi alla base aerea Andrews. I Kennedysalirono sull’aereo presidenziale, l’AirForce One, che decollò alle 11 e atterrò aSan Antonio alle 13.30 (ora locale). Il presidentee la moglie vennero accolti dal vicepresidente Johnson e dal governatore Connally, che si unirono al corteo presidenziale che avrebbe attraversato San Antonio.

     

     Nel pomeriggio, il presidente Kennedy inaugurò la scuola di medicina aerospaziale alla base aerea Brooks. Infine, nel pomeriggio, si recò a Houston in aereo, attraversò la città in auto, con il suo seguito, pronunciò un discorso allo stadio dell’Università Rice, dove ricevette un’accoglienza entusiastica, e partecipò alla colazione offerta in onore del deputato Albert Thomas.

     

    In serata, sul tardi, il presidente e il suo seguito si recarono in volo a Fort Worth, dove trascorsero la notte all’Hotel Texas.

     

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    La mattina del 22 novembre, il presidente Kennedy partecipò a una colazione offerta in suo onore nello stesso albergo, dopo di che arringò la folla che si era riunita in un parcheggio. Al presidente piaceva mostrarsi in pubblico all’aperto, perché in quel modo poteva farsi vedere e udire da un maggior numero di persone.

     

    Prima di lasciare l’albergo, il presidente, la signora Kennedy e Kenneth O’Donnell parlarono dei rischi inerenti alle apparizioni in pubblico. Secondo O’Donnell, il presidente dichiarò che: «Se qualcuno voleva veramente uccidere il presidente degli Stati Uniti, non era affatto un’impresa difficile: tutto ciò che il presunto attentatore doveva fare era appostarsi all’interno di un edificio di diversi piani, con fucile munito di mirino telescopico. Contro un attentato del genere, non c’era servizio di sicurezza che potesse opporsi».

     

    Alla fine di questa conversazione, il presidente si preparò a partire per Dallas.

     

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    L’arrivo all’aeroporto Love

     

    A Dallas aveva cessato di piovere e, verso metà mattinata, il cielo grigio e coperto di nubi aveva lasciato il posto a un sole radioso che accolse il presidente e il suo seguito quando l’Air Force One si posò sulla pista dell’aeroporto Love alle 11.40 (ora locale). Il governatore Connally con la moglie, insieme con il senatore Ralph W. Yarborough, avevano  accompagnato il presidente da Fort Worth. L’aereo del vicepresidente Johnson, l’Air Force Two, era atterrato all’aeroporto di Love, verso le 11.35 (ora locale): il vicepresidente e la signora Johnson si trovavano tra le personalità intervenute a dare il benvenuto al presidente e a sua moglie.

     

    Dopo un indirizzo di benvenuto del comitato di ricevimento di Dallas, il presidente e la signora Kennedy avanzarono lungo un tratto limitato da catene, oltre il quale c’era la folla entusiasta. Gli agenti del servizio segreto formavano un cordone per impedire che i giornalisti e i fotografi ostacolassero il cammino del presidente e di sua moglie, sorvegliando la folla, pronti a cogliere qualsiasi movimento sospetto.

     

    Alcuni agenti della polizia di Dallas erano stati appostati lungo il cordone di sicurezza, mentre agenti in borghese si erano mescolati alla folla. Il vicepresidente Johnson e sua moglie seguivano i Kennedy, sorvegliati da quattro agenti del servizio di sicurezza addetto al vicepresidente. Circa dieci minuti dopo il loro arrivo all’aeroporto Love, il presidente e la signora Kennedy si diressero verso l’auto presidenziale per dare inizio al corteo.

     

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    La composizione del corteo presidenziale

     

    Le disposizioni di sicurezza che il servizio segreto prende in occasione dei viaggi del presidente, disposizioni che furono seguite scrupolosamente anche a Dallas, hanno il fine di assicurare la protezione al presidente, permettendo tuttavia che gli spettatori possano vederlo. Ci si sforza, per quanto è possibile, di evitare fermate non previste, benché il presidente abbia la facoltà di ordinare al corteo di fermarsi, per dargli il tempo di salutare il pubblico, esattamente come Kennedy fece a Dallas. Quando il corteo rallenta, oppure si ferma, gli agenti del servizio segreto si appostano tra il presidente e la folla.

     

    Ecco qual era l’ordine dei veicoli nel corteo di Dallas:

     

    Motociclette. Alcune motociclette della polizia di Dallas precedevano l’auto pilota.

     

    Auto pilota. Aveva a bordo alcuni membri appartenenti al dipartimento di polizia di Dallas e precedeva il grosso del corteo di circa 400 metri. L’auto aveva lo scopo di preavvisare gli agenti, appostati lungo il percorso, dell’avvicinarsi del presidente, e di accertarsi che non vi fosse nulla di insolito.

     

    Motociclette. L’auto pilota era seguita da quattro o sei agenti motorizzati, il cui compito principale era di tenere lontana la folla.

     

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    Auto di testa. Nota come “auto di comando mobile” quest’auto della polizia di Dallas, senza contrassegni, era guidata dallo stesso capo della polizia Curry e aveva a bordo gli agenti del servizio segreto Sorrels e Lawson, oltre allo sceriffo della Contea di Dallas, J. E. Decker. Gli occupanti di questa auto tenevano d’occhio la folla e gli edifici lungo il percorso. Il loro compito principale era di notare con il massimo anticipo possibile eventuali segni di inquietudine, e di prendere le misure necessarie a fronteggiarli. Secondo la prassi consueta, l’auto di testa precedeva la vettura presidenziale a una distanza di circa quattro o cinque macchine.

     

    L’auto presidenziale. L’auto del presidente, una Lincoln decappottabile, modello speciale 1961, era munitta di due sedili ribaltabili tra i sedili anteriori e quelli posteriori. L’auto aveva anche in dotazione una capote di plastica trasparente, non a prova di proiettile. Poiché il tempo si era messo al bello, Lawson aveva dato ordine di lasciare l’auto scoperta. Con quest’ordine, eseguiva semplicemente le istruzioni dell’agente speciale Roy H. Kellerman, responsabile del viaggio, che accompagnava il presidente a Fort Worth. Kellerman ne aveva discusso con O’Donnell, e quest’ultimo gli aveva ordinato: «Se il tempo è bello, se non piove, fate levare la capote».

     

    Circa trentotto centimetri al di sopra dello schienale del sedile anteriore, c’era un telaio metallico con quattro maniglie, alle quali i passeggeri potevano sostenersi stando in piedi durante la parata.

     

    Posteriormente, sui due lati dell’automobile, erano disposti dei predellini destinati agli agenti del servizio segreto, e a ciascun predellino corrispondeva una maniglia di metallo alla quale l’agente poteva tenersi aggrappato. Il presidente aveva dichiarato, più volte, di non volere che agenti prendessero posto su quei predellini, durante un corteo, salvo in caso di necessità.

     

    Kennedy era seduto alla destra del sedile posteriore, insieme con la moglie, seduta alla sua sinistra. Il governatore Connally era seduto sul sedile ribaltabile di destra, mentre la signora Connally era seduta su quello di sinistra. L’agente speciale William R. Greer, appartenente al servizio segreto, guidava l’auto e aveva alla sua destra Kellerman. Kellerman aveva tra l’altro il compito di assicurare i contatti radio con l’auto di testa e con quella di scorta, di sorvegliare il percorso e di scendere dall’auto per andare a mettersi di fianco al presidente ogni volta che il corteo si fermava.

     

    28. Dealey Plaza From The Air

     

    Motociclette. Quattro motociclette, due per parte, affiancavano l’automobile presidenziale, tenendosi un poco indietro. Esse assicuravano una certa protezione al presidente, ma il loro principale compito era di tenere a distanza la folla. Anche in altre occasioni, il presidente aveva chiesto che le motociclette si accontentassero, per quanto fosse possibile, di seguire l’auto presidenziale, anziché affiancarla.

     

    L’automobile di scorta presidenziale. Questa automobile, una Cadillac decappottabile a otto posti, modello 1955, equipaggiata appositamente per il servizio segreto, seguiva subito dopo l’auto presidenziale.

     

    Su di essa vi erano otto agenti del servizio segreto: due sul sedile anteriore, due su quello posteriore e due su ciascuno dei predellini. Ogni agente era armato con una pistola calibro 38. Sull’auto c’erano anche un fucile e un mitra. David F. Powers e Kenneth O’Donnell, assistenti speciali del presidente, occupavano rispettivamente il sedile ribaltabile destro e quello sinistro.

     

    Secondo la procedura stabilita, gli agenti che si trovavano sull’auto di scorta avevano lo scopo di sorvegliare il percorso e di individuare qualsiasi segno sospetto, tenendo d’occhio non solo la folla, ma anche le finestre, i tetti degli edifici, le strade laterali e gli incroci. Dovevano soprattutto stare all’erta, pronti a osservare eventuali oggetti che potessero essere lanciati, oppure i movimenti improvvisi nella folla, in direzione dell’automobile presidenziale. Gli agenti sui predellini avevano l’ordine di mettersi immediatamente dietro il presidente e sua moglie, quando l’auto presidenziale rallentava o si fermava, oppure quando la pressione della folla rendeva impossibile alle motociclette di scorta conservare le loro posizioni a fianco dell’automobile. Gli altri due agenti in piedi sui predellini posteriori avevano ordine di andare a mettersi davanti all’auto presidenziale ogni volta che questa si fermava o rallentava abbastanza da permettere la manovra.

     

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    Auto vicepresidenziale. L’auto del vicepresidente, una Lincoln decappottabile a quattro porte, messa a disposizione dalle autorità di, Dallas, seguiva l’auto di scorta del presidente, a una distanza di due o tre automobili. Questa distanza veniva mantenuta costantemente, in modo che gli spettatori potessero abbandonare con l’occhio l’auto del presidente, quando spuntava quella del vicepresidente. Il vicepresidente Johnson era seduto sulla destra del sedile posteriore.

     

    La signora Johnson era seduta in mezzo, tra il senatore Yarborough e il marito. Rufus W. Youngblood, agente speciale incaricato del servizio di sicurezza del vicepresidente, si trovava a destra, sul sedile anteriore; Hurchel Jacks, agente della polizia stradale del Texas, guidava l’automobile.

     

    Auto di scorta vicepresidenziale. Guidata da un membro del dipartimento di polizia di Dallas, questa auto aveva a bordo tre agenti del servizio segreto, oltre a Clifton C. Carter, assistente del vicepresidente.

     

    Questi agenti del servizio segreto avevano gli stessi compiti, nei confronti del vicepresidente, che avevano gli agenti seduti a bordo dell’auto di scorta presidenziale.

     

    Altri veicoli che facevano parte del corteo. Facevano anche parte del corteo: cinque auto che trasportavano varie personalità, tra le quali il sindaco di Dallas e i rappresentanti del Texas al Congresso, veicoli delle società telefoniche e della Western Union (società privata dei telegrafi); un’automobile del servizio comunicazioni della Casa Bianca, tre automobili sulle quali c’erano alcuni fotografi; un’auto riservata ai collaboratori della Casa Bianca e ad altre persone; due auto della stampa.

     

    L’ammiraglio George G. Burkley, medico personale del presidente, era su un’auto che precedeva quelle che c trasportavano le personalità locali e nazionali.

     

    Auto della polizia e motociclette. Un’auto della polizia di Dallas e diverse motociclette seguivano in coda il corteo e impedivano a veicoli non autorizzati, di unirvisi.

     

    Servizio di comunicazioni all’interno del corteo. Una centrale radio installata in città assicurava i contatti radio tra le auto di testa, l’auto presidenziale, l’auto delle comunicazioni per la Casa Bianca, il Trade Mart, l’aeroporto Love e gli aerei del presidente e del vicepresidente. L’auto del vicepresidente e l’auto della polizia che la scortava erano munite di radiotelefoni portatili che funzionavano su una lunghezza d’onda particolare, permettendo così le comunicazioni dirette da un’automobile all’altra.

     

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    La sfilata

     

    Il corteo lasciò l’aeroporto Love poco dopo le 11.50, per attraversare, a una velocità variante tra i 40 e i 50 chilometri orari, i quartieri poco popolati alla periferia di Dallas. Per ordine del presidente, la sua auto si fermò due volte, la prima volta per aderire a una richiesta di stringergli la mano. Durante questa breve fermata, gli agenti appostati sui predellini anteriori dell’auto della polizia che seguiva quella presidenziale si fecero avanti e rimasero accanto all’automobile presidenziale, tenendo d’occhio la folla, mentre l’agente speciale Kellerman occupava la posizione prevista accanto all’automobile stessa. L’altra fermata avvenne quando il presidente fece fermare il corteo per parlare a una suora cattolica e a un gruppo di bambini.

     

    Nei quartieri del centro, una folla numerosa acclamò con calore il presidente.

     

    Come previsto, il corteo presidenziale si diresse verso ovest, attraversò il centro di Dallas, percorrendo la strada principale, fino all’incrocio con Houston Street, dove si apriva il Dealy Plaza. Abbandonando la strada principale, il corteo svoltò a destra in Houston Street, una strada fiancheggiata sulla destra da alti edifici per dirigersi verso il Texas School Book Depositòry. La folla era sempre molto fitta davanti agli edifici che fiancheggiavano il lato est di Houston Street, ma diradò bruscamente in Elm Street, una strada che descrive un ampio arco verso sud-ovest, per scendere verso il Triple Underpass e raggiungere poi l’autostrada Stemmons.

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    Quando il corteo si avvicinò all’incrocio di Houston Street con Elm Street, i membri al seguito presidenziale si felicitarono dell’accoglienza entusiasta riservata a Kennedy.

     

    Particolarmente soddisfatto si mostrava Kenneth O’Donnell, il quale si rallegrava per l’aspetto politico della cosa, poiché era una riprova che il cittadino medio di Dallas rispettava e ammirava il presidente, come ogni altro cittadino americano.

     

    In un impeto di entusiasmo, la signora Connally si portò verso il presidente Kennedy e gli disse: «Signor Presidente, non potete certo dire che a Dallas non vi amino! » Il presidente rispose: «Certo che no! ».

     

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    L’assassinio

     

    Alle 12.30 (ora locale), quando l’auto scoperta del presidente avanzava in Elm Street a una velocità di circa 17 chilometri l’ora, dirigendosi verso il Triple Underpass, i colpi sparati con  … continua

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    Questo articolo è estratto del rapporto della Commissione Warren.

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    © United State Government Printing Office, Public Documents Depa.rtement, Washington.

    © 1974 Edito Service S.A., Ginevra per la traduzione italiana.

     

    I giorni e le Notti  ha fotografato il testo con sistema OCR dall’Enciclopedia del Crimine , Fratelli Fabbri editori– Fascicoli 21-22, marzo 1974

     

    Le foto sono state trovate su Google immagini

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