di Gian Carlo Zanon
«Cosa c’è di diverso? Gli odori e la temperatura, penso in un primo momento. Poi penso ai rumori che in ogni luogo posseggono le proprie peculiarità, al grigiore del cielo in inverno e al tono scuro delle acque di un fiume che attraversa gran parte dell’Europa. Ma cosa c’è in realtà di nuovo? (…) Forse è la musica, il suono del tram che frena alla fermata, la neve che si ammonticchia al lati del marciapiede, i fiori di primavera che lottano per uscire anche se forse li aspetta la più tremenda delle gelate. Dove si radica lo stato di straniamento? Nello scampanio delle chiese che ad ogni ora in punto sembrano fare a gara, o in certe case talmente antiche da far sembrare di giovane età le costruzioni de La Avana vecchia.»
Queste sono alcune domande che Yoani Sánchez, dopo essere finalmente riuscita ad uscire dall’Isola e viaggiare libera nel mondo, pone a se stessa in un articolo, Prohibiciones, scritto nei suoi primi giorni di libertà. Poi si risponde:
«Il contrasto principale è radicato in ciò che viene consentito o meno. Da quando scesi dal primo aereo sto aspettando che qualcuno mi sgridi, che qualcuno esca e avvertendomi mi dica ”questo non si può fare.” Cerco con lo sguardo il custode che verrà da me dicendomi “non è permesso fare foto”, il poliziotto che scuro in volto griderà “cittadina, identificazione”, il funzionario che tagliandomi la mia strada in qualche corridoio sentenzierà “qui non è possibile entrare”.»
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Con poche frasi poetiche la Sánchez fa “sentire” al lettore il clima in cui si vive quotidianamente nelle grandi città di Cuba. Questo naturalmente quando si vuole vivere in libertà e non quando istintivamente, condizionati da abitudini comportamentali, non si sorpassano mai i confini del “non si può fare”.
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In questo piccolo, intenso e poetico reportage, l’ormai famosa bloguera cubana traccia con poche righe la realtà sociale cubana, e quindi, se non mente, ella svela con le sue parole una verità che io non conoscevo.
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Mi sono reso conto, leggendo attentamente gli articoli e i commenti pubblicati nel nostro Diario polifonico, ormai da un mese circa, che la verità, per ognuno di noi, è diversa e contrastante. Non è la realtà oggettiva che viene disegnata in modo distinto – sarebbe molto grave se fosse così – ma il senso che, chi è intervenuto con articoli o commenti, ha dato ad alcuni aspetti della realtà cubana. Senza entrare troppo nello specifico mi viene banalmente da dire che ogni individuo, al di là dei cinque sensi, possiede un proprio senso estetico personale ed originale, vale a dire che ognuno da un proprio significato alla realtà oggettiva data. Ognuno nella percezione ammanta di sé il reale, arricchendolo, impoverendolo, banalizzandolo, facendone emergere i contenuti interni o annullandone le realtà non immediatamente visibili.
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Gli autori degli articoli e dei commenti avvicendatisi in questa dialettica, dai toni anche aspri ma sempre civilissimi, hanno espresso, parlando di Cuba, la propria “visione del mondo” con cui hanno ammantato la realtà di cui hanno narrato.
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Ci voglio provare anch’io, partendo proprio da ciò che Yoani Sánchez racconta nei suoi articoli che mi hanno sempre colpito per la loro particolare sonorità. Più o meno ormai tutti sanno che Yoani è una donna che da anni lotta rischiando la propria libertà per narrare ciò che sa, ciò che vede e che ha visto, ciò che vive ed ha vissuto sulla propria pelle. Lo fa con il mezzo che gli è più congeniale: un computer collegato con il mondo intero attraverso la rete web.
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Un anno fa, il 4 ottobre del 2012, la Sánchez, che tra parentesi è stata più volte candidata al premio Nobel per la pace, fu arrestata per strada, e solo perché intendeva seguire il processo di Angel Carromero, esponente politico spagnolo accusato della morte, in un incidente d’auto, dell’oppositore cubano Oswaldo Paya.
Il suo comportamento in quell’occasione fu esemplare per il coraggio e per l’identità umana dimostrata. Non appena liberata dalla detenzione raccontò ciò che le avevano fatto e ciò che le avevano tentato di fare con il suo stile letterario che non lascia scampo «il sudore di quelle tre donne che mi misero nell’auto della polizia ce l’ho ancora incollato sulla pelle e ben dentro le narici (…) Mi hanno fatto entrare in una cella senza finestre e mi hanno detto che dovevo spogliarmi. Io mi sono rifiutata e ho detto che non mi sarei tolti i vestiti. A quel punto loro hanno cominciato a immobilizzarmi con la forza sul pavimento. Tre donne hanno tentato di denudarmi, è stato il momento più violento della mia detenzione (…) mi hanno strappato di dosso tutto ciò che potevano ma non hanno potuto strappare il mio mondo interiore».
Dopo trenta ore di detenzione Yoani Sánchez viene rilasciata senza nessuna accusa.
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Questo è quanto è successo a L’Avana, ed è un dato oggettivo.Partendo da questo dato oggettivo alieno la mia “visione del mondo” e, in concomitanza con quanto accaduto su queste pagine, penso che leggere queste cose drammatiche e non sentire sorgere un moto di ribellione nello stomaco mi fa pensare a una mancanza di sinestesia fisica che dovrebbe appartenere a tutti gli esseri umani.
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Mi piacerebbe che si leggessero gli articoli di Yoani attentamente, se possibile nella sua lingua originale, perché è lì che lei è grande, immensa. E lo è perché ha una capacità estetica originalissima, e poetica, capace di entrare nei corridoi poco frequentati della psiche e aprire le infinite porte che si aprono nei due lati per far veder al lettore la realtà umana di centinaia di migliaia di persone che vivono infelici anche se ballano tutto il giorno. E sono infelici perché non possono realizzare la propria identità umana. Alcune di queste persone, poche, con la consapevolezza di questa assenza di libertà che limita la loro realizzazione, altre , la maggior parte, con una depressione causata dal silente stridio tra la propria realtà interna, invisibilmente coartata, e le ragioni dello stato socialista “che deve realizzare la propria ideologia”.
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Ideologia che annulla l’identità umana per i cosiddetti “sogni” di una società più giusta. Società che, ora lo sappiamo ormai, non potrà mai realizzarsi finché l’etica sociale verrà indotta dottrinariamente da pedagoghi che assomigliano sempre più a preti cattolici. Tutto ciò naturalmente è dovuto ad una ideologia che fa credere che il pensiero negli esseri umani esiste solo se immesso pedagogicamente con lavaggi del cervello che iniziano dalla più tenera infanzia:
“Para mi comandante de dulce sonrisa/guardo para siempre el sol y la brisa./Para mi comandante de barba y sombrero/he cortado flores en jardín de enero./Para mi comandante perdido en octubre/esta pañolera azul que me cubre”.
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Questa è la cantilena che fanno insegnare a Cuba ai bambini nei primi giorni dell’anno scolastico. Una bella preghierina come quelle che mi insegnavano a scuola, solo che al posto del “Gesù d’amore acceso” c’è il “comandante” ovvero Che Guevara.
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Quello che voglio dire è che qui come a Cuba, se si esclude il naturale sviluppo che ha portato ad un benessere inteso come scolarizzazione, possibilità di accedere alle cure mediche avanzate, incremento degli anni di sopravvivenza, ecc. ecc., nulla è sostanzialmente cambiato. Sia il paradigma socialista sia il liberalismo hanno portato solo ad un aumento del soddisfacimento dei bisogni e non alla realizzazione dell’identità umana che rimane sempre una chimera quasi irraggiungibile … quasi.
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Con questo non voglio dire che gli articoli di Roberto Cursi, Di Giulia De Baudi o alcuni commenti non posseggano molti, moltissimi elementi di verità, ma, per ciascuno di noi esiste una verità più vera che non può essere ridotta alla ragione.
Quindi, ritornando a Cuba, ben vengano le denunce di chi si ribella perché la società in cui vive gli impedisce la propria realizzazione umana che comprende anche il diritto/dovere di ricercare la verità più vera. Non esiste realizzazione umana nella menzogna.
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La denuncia della pedofilia della Sánchez è importante perché a Cuba è un argomento tabù nascosto dalla stampa locale, come da noi si nasconde la realtà più vera del fenomeno pedofilia nella Chiesa cattolica. Ciò che si sa qui è solo ciò che i giornali guidati da cattolici permettono che si sappia. Ciò che si sa a Cuba è solo ciò che i media locali, guidati di gerarchi, permettono che si sappia.
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Quindi io dico a Roberto Cursi che la veemenza, l’amplificazione, la drammatizzazione, presenti nelle denunce della bloguera cubana non sono altro che movimenti naturali non mediati dalla ragione; sono grida di dolore per questi crimini che senza denunce non verranno mai puniti né fermati. Nessuna persona intelligente pensa che in Italia siamo tutti mafiosi ma può legittimamente pensare che il problema mafioso sia nascosto dal potere mediatico legittimato da Ministri dell’Interno che fino a pochi mesi fa affermavano “ Nel Nord Italia la mafia non esiste”. Così nessuna persona intelligente può pensare che a Cuba siano tutti pedofili e che tutte le ragazze siano jineteras solo perché denunciandone il fenomeno si viene a sapere che esiste.
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“Con i nostri figli no” scritto dalla Sánchez, è un grido che si leva in difesa dei bambini stuprati e per lo schifo di una informazione mediatica cubana che nasconde i crimini di pedofilia come faceva la polizia fascista. Ad ogni regime totalitario importa più che si pensi che certi fenomeni, grazie alla perfetta organizzazione statale, non esistano, piuttosto che denunciare i crimini di pedofilia che poterebbero salvare altri innocenti. Questo è un dato storico ed oggettivo. Quindi ben venga l’enfasi di Yoani Sánchez. Non si dovrebbe mai attaccare chi svela la verità solo perché questa incrina e perturba credenze precostituite. Se la Sánchez fosse tra noi, e magari abitasse a nell’entroterra casertano, sarebbe né più né meno come quel Saviano che anni fa denunciava la Camorra rischiando la vita.
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A Cuba ci sono dei fenomeni di corruzione? C’è mancanza di libertà? Ci sono fenomeni di prostituzione? Se si perché non denunciarli. Forse non nominandoli si spera che non esistano, o che evaporino come la brina al primo sole?
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Io credo fermamente nella potenza delle parole, altrimenti non scriverei. E Yoani ha scritto che se si inizia a chiamare le dittature con il proprio nome « … es como si comenzara a destruirlas» è come se si iniziasse a distruggerle.
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Ora guardo la società cubana, con occhi diversi da un mese fa. Pur non essendo mai stato a Cuba, e grazie ai molti articoli e commenti letti in questi giorni ho molto più presentela sua complessità. Penso anche, e spero veramente di sbagliarmi, che fra non molto sarà fagocitata da un neoliberismo cinico e rampante per il semplice motivo che i suoi abitanti non posseggono alcun strumento culturale per opporvisi … ma questo, purtroppo, non accadrà solo a Cuba.
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Tutte le foto ritraggono Yoani Sánchez, che rappresenta efficacemente la parte migliore della società, e non solo quella cubana.
emilio rivetti
31 Ottobre 2013 @ 16:08
Mi posso permettere di scrivere qualcosa di Cuba solo perchè ci sono stato 21 giorni. Sono andato a Cuba avendo sentito tante cose diverse su Cuba: conoscevo la storia della bloguera Sanchez, sentivo i racconti di chi si è trovato bene in vacanza, un’amica cubana vuole rientrare a Cuba perchè li nonostante tutto li “si sta bene”, conoscevo la storia della rivoluzione e del Che, le donne cubane che ti saltano addosso perchè sei turista. Tante informazioni tutte diverse e personali, ma non sapevo quale di queste era la verità vera, o la più vicina alla verità. Ero curioso di vedere questo socialismo cubano e come io l’avrei vissuto. Chiaramente 21 giorni come turista, a Cuba, è come stare in un paradiso terrestre, e ti vivi la realtà cubana da esterno. Stando lì i giorni volano e gli stimoli sono tantissimi, un mondo che un occidentale non può capire se non vivendolo. Ho parlato quanto più potevo con i cubani e con alcuni italiani trasferiti li a Cuba per capire la società cubana e come si vive a Cuba. La conclusione non esiste, tutte le informazioni sono vere; Cuba ha le sue bellezze e le sue criticità, bisogna saperle adeguare al contesto storico come ha raccontato bene Roberto Cursi. Chiaramente la mancanza di libertà è un limite violento e assurdo; come lo stipendio basso e non ci puoi campare. Ma non ho trovato persone depresse. Anzi tutt’altro. C’è la povertà ma anche molta vitalità e dignità. Ho conosciuto una donna di 50 anni che vive da sola e si difende questa sua libertà e sessualità dal maschilismo dei suoi connazionali, nell’isola del sesso c’è il maschilismo!! Cuba non è solo “quello” che dice Yoani Sanchez, ma anche “quello” che dice. Cuba ha lati negativi e positivi di una società non capitalista. Come la società capitalista ha lati positivi e negativi. Dire le cose come stanno è necessario per cambiare e migliorare, ma bisogna saperlo fare e vedere la realtà storica ed economica che c’è attorno. Gli avvoltoi americani sono pronti a dissanguare Cuba come hanno fatto in passato. Da tanti segnali si vede che il cambiamento è in corso: si sta aprendo un’economia libera, ci sono tanti bloger, internet è disponibile anche per i cubani, se la Sanchez dice quello che vuole è perchè il governo glielo permette. C’è complessivamente un movimento che penso neanche 10 anni fa era pensabile. Spero invece che Cuba riesca ad unire quei valori che ancora nessuna società ci è riuscita: la libertà con l’uguaglianza. Ma questi cambiamenti sono lunghi, lo sappiamo, deve cambiare prima un modo di pensare………. intanto ti consiglio di farti una bella vacanza a Cuba, e poi ci racconti la tua esperienza diretta. Sarà sicuramente diversa dalle opinioni che ti fai dai bei articoli di questo blog.
Hasta luego companeros.
Emilio
XXX
10 Novembre 2013 @ 08:22
Emilio, le tue parole riescono a fare una sintesi sufficientemente “veritiera” della realtà cubana. Ho messo la parola “veritiera” tra virgolette perché, essendo il commento riferito a questo articolo, non possiamo che attenerci a quello che Gian Carlo Zanon ha scritto riguardo al fatto che ognuno dà la propria interpretazione in base al proprio vissuto e alla propria “sensibilità”. Proprio per questo, “rubando” la sua analisi, ho avuto la possibilità di scrivere il mio articolo “Cuba: lo sguardo straniero: realtà, …, …” in risposta ai suoi “pensieri/sensazioni” che ha sulle tante sfaccettature della società cubana. Quella società così difficile da “interpretare” anche per chi quella realtà la conosce, per poi diventare quasi “indecifrabile” a tutte quelle persone che, invece, ne hanno avuto uno “sguardo” sempre distante.
Roberto
XXX
10 Novembre 2013 @ 11:47
Roberto, ho fatto un pensiero: e se questa responsabilità dello sguardo invece divenisse il motore per estremizzare la nostra ricerca? La passività della visione oggettiva deresponsabilizza dal giudizio. La soggettività obbliga ad una responsabilità ed a una ricerca continua della verità contenuta nella realtà. Quindi che ognuno si tenga la propria visione della realtà, se possibile dialettizzandola con altre visioni. Nel confronto e nello scontro, chi possiede una buona dose di onestà intellettuale, prenderà alcune cose dall’altro, altre ne rifiuterà.
È chiaro che l’ottuso, che vede il calciatore della squadra del cuore sempre e a prescindere dalla parte della ragione, terrà cristallizzata la propria visione di un accadimento. Così facendo la sua realtà, che essendo umana è in divenire, diverrà invece sempre più monolitica e impermeabile ad ogni stimolo esterno.
Torno alle parole di Loretta Emiri che hanno “scatenato” altre mille parole: penso che quell’articolo, che ritengo altamente poetico, in quanto ha la capacità di entrare nella realtà del fallimento del socialismo con immagini vive e senza l’uso di inutili didascalie, abbia la capacità di svelare l’invisibile sia nel sociale, sia nel privato. Quello che si voleva “chiavare una cubana” a tutti i costi, probabilmente si crede un uomo di sinistra. Invece è solo un fascista che vede nell’altro da sé solo e unicamente una “cosa” da sfruttare.
Ed è questo il fallimento del socialismo, la reificazione dell’umano, cioè fare divenire l’altro da sé un oggetto inanimato o animale con bisogni corporali da soddisfare. E per loro, fascisti intendo, mascherati e non, la sessualità è un mero bisogno corporale.
Jeanne P.
P.S. : le foto della cubana che canta e balla, in mezzo a gente di tutt’altro umore, posta in copertina dell’ultimo articolo di Roberto Cursi, rappresenta bene di dicotomia tra l’apparire e l’essere della società … anche di quella cubana …io la vedo così …
Anche le immagini, che parlano del ritorno di Yoani Sánchez a Cuba, definiscono bene la sua realtà umana che una banda di reazionari del c….o sta tentando di sfregiare in vario modo: vedi il “dollaro Yoani Sánchez”.
Roberto Cursi
10 Novembre 2013 @ 23:54
Certamente non può che esserci la “responsabilità” del proprio sguardo per quelle persone che non vogliono fermarsi davanti ad una realtà “piatta”, ma quello che invece vanno cercando è il latente, è quella cosa che la realtà porta in sé; ma che lo “svela” solo a chi usa i propri occhi per “guardare” e non soltanto per vedere. Che poi gli “sguardi” siano molteplici e le interpretazioni altrettanto, lo abbiamo lasciato scritto chiaramente in queste pagine.
Per questo che condivido in pieno le parole che hai lasciato nel tuo commento:
“La passività della visione oggettiva deresponsabilizza dal giudizio. La soggettività obbliga ad una responsabilità ed a una ricerca continua della verità contenuta nella realtà. Quindi che ognuno si tenga la propria visione della realtà, …….. chi possiede una buona dose di onestà intellettuale, prenderà alcune cose dall’altro, altre ne rifiuterà.”
Mentre l’unica cosa, che forse non condivido in pieno, sono le parole: “…rappresenta bene la dicotomia tra l’apparire e l’essere della società … anche di quella cubana …io la vedo così …”
lo dico perché, forse, una delle cose positive di quella gente -cubana-, confronto alle realtà umane che ci circondano alle nostre latitudini, è proprio la scarsa dicotomia tra l’apparire e l’essere. Ma questo rientra in quegli sguardi molteplici e nelle altrettante interpretazioni.
Hasta luego compañera!
Roberto