Ilusión y desencanto
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di Roberto Cursi
In questo stesso istante, che sto inviando questa lettera alla redazione, sento che la nuda cronaca che ho esposto, sperando possa essere comunque utile, mi lascia dentro un sentimento d’ incompiuta realizzazione.
E si…, la passione delle proprie idee, il pathos del confronto… non possono rimanere fuori da questa discussione, quindi…
…HASTA PRONTO, COMPAÑEROS!
Con queste parole concludevo un mio articolo nel quale provavo a descrivere in che contesto é nato, e per quali motivi si è diffuso il fenomeno delle “jineteras” a Cuba. In quell’occasione mi sforzavo di fare entrare il meno possibile nella narrazione le mie opinioni personali, evitando di confrontarmi con chi, in questo Diario polifonico, partecipava ad una dialettica piuttosto vivace sul “grande” disincanto nei riguardi della rivoluzione cubana.
Quindi, adesso, … AQUI ESTOY, esponendo il mio pensiero sul disincanto che quell‘isola caraibica ha generato nelle tantissime persone che speravano, proprio lì, tra palme da cocco, sole, rum, mulatte, mambo e cha-cha-cha, si potesse realizzare quella speranza e quella possibile utopia che, nei grigi paesi dell’ Est, non riuscivamo proprio a immaginare.
Speranza alimentata ancor di più dalle nostre proiezioni di inguaribili romantici, di irrefrenabili sognatori, verso una Rivoluzione, forse l’unica al mondo, che si potesse definire veramente “Popolare”.
Non c’era un elite di intellettuali che dall’alto, fuori dalla guerriglia quotidiana, pianificava il tutto; non c’era una consistente parte dell’esercito che si dissociò dalla repressione di Batista per affiancare il “Movimiento 26 de Julio”; non c’ erano gli indispensabili finanziamenti, che una rivoluzione richiede, da parte di paesi terzi.
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Tutto questo unito al carisma di Fidel e alla “romantica” figura del Che, e al ricordo mitico dello sbarco a Cuba dal Granma: degli ottantadue scesi sulle spiagge cubane per iniziare la guerriglia, dopo poche ore di scontro con l’ esercito cubano, soltanto in dodici si ritrovarono vivi.
E quei dodici Barbudos, nonostante tutto, riuscirono a portare un’intera nazione verso una sollevazione popolare contro il dittatore Fulgencio Batista, uomo degli Stati Uniti e della mafia nord-americana (chi vuole approfondire quest’ ultimo argomento clicchi QUI)
Sicuramente anche tutto questo ha contribuito ad alimentare la forte speranza che, almeno in quell’Isola, sarebbe stato possibile iniziare a costruire una società diversa e migliore.
Invece … il disincanto!
Ma perchè, questo giustificato disincanto, porta ora molti di noi a criticare in modo inesorabile, e a cercare, con la lente di ingrandimento, qualsiasi stortura che quel sistema ha prodotto.
Riporto alcune frasi che in un suo articolo Giulia De Baudi scrive:
«Cuba ha rappresentato per i suoi abitanti – e per il mondo intero dei sognatori incalliti come me – una speranza di umanità, che si incarnava nel socialismo.»
«E Cuba ci aveva fatto una promessa. Cuba ci aveva detto che era vero che c’erano degli esseri umani uguali a noi sognatori».
«Ma siamo stati ancora delusi … ed è questo che è devastante: sono le delusioni che uccidono i sogni, non è la miseria».
« … come racconta anche Yoani Sánchez la bloguera cubana di Generacion Y , le donne hanno continuato a subire violenze dai machios cubani, i bambini ad essere abusati da padri, nonni, vicini di casa, e venduti ai turisti pedofili, e nelle strade e spiagge de La Avana esseri umani vendono se stessi ai nuovi yankees che ora parlano in italiano».
Ho la convinzione che Giulia De Baudi, con le sue parole, abbia espresso pensieri che moltissimi altre persone istintivamente condividono, me compreso – invece per le frasi che rimandano agli articoli di Yoani Sánchez, e che riprenderò più avanti, riservo una riflessione che in seguito andrò ad esporre.
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Ma in questo caso, quanto l’ aderire istintivamente a quelle parole che colpevolizzano Cuba in modo inesorabile, rispecchi fino in fondo la reale responsabilità di quel paese nelle forti delusioni che molti di noi ci portiamo dentro.
In questi anni di mia “obbligata” relazione sentimentale con quell’ isola,dove molto spesso sentimenti di rabbia, delusione e sconforto hanno preso il sopravvento, alcuni pensieri, sgomitando, cercavano spazio nella mia mente.
Più tentavo di ostacolare il loro cammino, aiutato dalla delusione che quel paese aveva prodotto in me, più loro si facevano forti, riuscendo piano piano a trovare spazio per un giusto confronto con quelle altre opinioni che mi portavo dietro.
Ma cosa aveva fatto il Socialismo Cubano per deludermi?
Non mi aveva fatto vedere nessuna prosperità economica in quel paese?!
Ma Cuba, prima della Revolucion, era un paese del cosidetto “Terzo Mondo”, salvo pochissime realtà territoriali sparse nell’Isola dove il sistema produttivo era più sviluppato, e salvo L’ Avana, con un economia parallela completamente in mano ad un sistema imprenditoriale/mafioso.
Il cosidetto PIL poteva anche non sembrare così basso per un paese latino-americano, ma la ricchezza era in mano solo a pochissime persone, mentre la stragrande maggioranza della popolazione extra urbana viveva nella miseria, quasi analfabeta, senza assistenza sanitaria, e le autorità di polizia esercitavano una forte repressione sull’intera popolazione.
Invece la Revolucion ha subito provato a trasformare quello stato di cose, ed è superfluo che mi metta qui a fare l’ elenco dei risultati ottenuti in breve tempo.
… E a fatica aveva anche continuato il suo percorso fino al 1991, quando ci fu il crollo dell’ Unione Sovietica.
Dopo è diventato tutto molto, ma molto più complicato; come ho ampiamente descritto in un altro mio articolo.
E comunque, ironicamente, l’unica previsione teorica che il Socialismo sia riuscito veramente a realizzare è proprio la scarsa dinamicità di “progresso”, sviluppo economico e benessere materiale degli individui che Marx, a suo tempo aveva teorizzato.
Non avevo trovato quella libertà di opinione, di libera stampa, di dissenso?!
Certamente!
Ma non era anche questo che teorizzava il marxismo-lenismo nella sua prima fase di presa del potere per evitare la cosidetta “controrivoluzione”?
In più, tutti noi conosciamo i fatti della Baia dei Porci, anche se questo è un lontano episodio e solo il più eclatante di tutti i tentativi seguiti nel corso degli anni a Cuba per rovesciare la rivoluzione castrista.
Una pressione soffocante da parte della CIA, che cercava di finanziare qualsiasi gruppo dissidente, obbligava Cuba ad un continuo controllo anche sui mezzi di informazione.
Fidel Castro, nella storia, è stato il Presidente con più tentativi di attentati alla sua persona; certamente non penso nel numero di 683 volte, come ufficialmente viene dichiarato, ma moltissimi di questi sono confermati da documenti resi accessibili negli archivi della stessa CIA.
Fino ai vari attentati nell’ estate del 1997, con bombe esplose in diversi hotel dove, in uno di questi, rimase ucciso anche un giovane italiano.
Attentati eseguiti per scoraggiare il turismo internazionale, importantissima fonte di entrata in dollari.
Anche tutto questo ha portato ad una maggiore restrizioni delle libertà individuali.
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Dire queste cose, per me, non significa giustificare queste limitazioni alla libertà di espressione e al libero dissenso, che vanno sempre fortemente condannate, ma solo provare a spiegare che le autorità cubane non stavano facendo altro che mettere in pratica quella linea di forte controllo interno, che si ritrovava nei testi di quella teoria marxista-lenilista che loro avevano deciso di adottare.
Era chiaro sin dall’inzio che quello che ci avevano promesso con la rivoluzione doveva passare attraverso un periodo di rigidissimo controllo sulla società civile; solo che, lo sguardo di tutti noi, “giustamente”, era rivolto alla futura realizzazione di queste promesse, e invece avevamo “chiuso gli occhi” sui metodi per realizzarle.
Da qui, secondo me, la delusione; da quei nostri occhi chiusi.
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Non mi aveva fatto trovare un popolo di sognatori come immaginavo?!
E si…, la prima volta che andai a Cuba mi resi conto che pochissimi parlavano della trasformazione che il processo rivoluzionario aveva portato nel paese.
Non trovavo nemmeno nessun entusiasmo in quelle poche persone che affrontavano l’argomento sottolineandone le cose positive. Mentre, tra le giovani generazioni, salvo rarissime eccezioni, quasi nessuno riusciva a parlarne positivamente.
Eppure, ero arrivato su quell’ isola pensando di trovare tutt’altra partecipazione emotiva tra i cubani.
Forse mi ero dimenticato che erano passati trentacinque anni dal trionfo della rivoluzione cubana, ed era cresciuta una nuova generazione, per la quale, le conquiste acquisite ormai erano scontate, mentre quello che non andava, giustamente, veniva in continuazione sottolineato e criticato, e quindi conservare sogni ed entusiasmi iniziali era quasi impossibile.
Per tutte queste cose io penso che le tante contraddizioni e delusioni che Cuba ci rimanda siano in maggior misura in noi stessi, e non in quel paese che obtorto collo, solo nel 1961, due anni dopo la presa del potere da parte di Fidel, ha dovuto dichiarare formalmente il carattere Socialista della rivoluzione
Obtorto collo perchè, dopo il fallimento della Baia dei Porci, gli USA applicarono il totale embargo nei confronti di Cuba, obbligando anche tutti gli altri paesi alleati a rispettare tale decisione.
In quegli anni il mondo era diviso esattamente in due blocchi, e l’unica possibilità di sopravvivenza della Rivoluzione non poteva che portare Cuba ad allearsi con chi, nel campo socialista, l’attendeva a braccia aperte.
Ma in cambio di questo abbraccio “salvifico”, è stata obbligata a realizzare quello che l’ URSS le imponeva.
Ricordo che il “movimento 26 di luglio” non aveva nessuna ispirazione ideologica propriamente marxista.
Fidel Castro nei suoi scritti faceva esclusivamente riferimento al pensiero di Josè Martì – Padre della Patria ed eroe nazionale per la guerra di indipendena dalla Spagna – e scriveva esplicitamente che «La Rivoluzione dichiara il proprio assoluto e riverente rispetto per la Costituzione
data al popolo nel 1940» senza mai fare nessun accenno ad un sistema socialista.
E proprio in questi ultimi anni, la propaganda cubana, ha rivalutato enormemente la figura di Josè Martì, sostituendola a quella di Marx.
Invece, dalla dichiarazione del 1961 in poi, Cuba non ha fatto altro che perseguire quello che il marxismo teorizzava: dall’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, alla giustizia e uguaglianza sociale; dalla distribuzione – quasi gratuita – delle merci in base ai propri bisogni, alla garanzia del servizio pubblico sanitario ed educativo gratuito per tutti.
Se poi, con questo intento, non si sia riusciti a realizzare la “società ideale” è un altro discorso.
Insomma, Cuba é rimasta fin troppo “fedele alla linea” e alla sue promesse di voler costruire una società socialista in base alle teorie marxiste-leniniste.
Uno degli ultimi grandi cartelloni propagandistici che questa estate ho visto nella città di Santiago de Cuba, così diceva:
“É vero! Cuba ha bisogno di riforme, ma per più Socialismo!”
Che la costruzione del sistema socialista a Cuba, fino al 1991, tra molte ombre e luci, sia riuscito a riscattare e dare dignità alla grande maggioranza della sua popolazione é indubbio, ma quella data rappresenta un drammatico spartiacque dopo il quale ci si è dovuti concentrare più sulla sopravvivenza quotidiana, che sulla realizzazione di una società socialista.
Come evolverà la situazione, e come Raùl Castro riuscirà a gestirla, ancora non lo sappiamo.
…E noi stranieri, guardando quella realtà dalla finestra, l’unica cosa che possiamo fare è solo parlarci da un edificio all’altro, cercando di capire, e di farlo magari aprendo i vetri.
Altrimenti lo sguardo si distorce e le parole si confondono. … continua
Le foto dell’articolo sono di Roberto Cursi tranne quelle storiche e quella del francobollo cubano
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Leggi qui la quarta parte
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