le foto dell’articolo sono di Roberto Cursi
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–Nascita, cause storico-sociali e diffusione del “jineterismo” cubano
Prima parte
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di Roberto Cursi
Leggendo i commenti seguiti “all’articolo” Da puttana a puttana di Loretta Emiri, ho avuto istintivamente voglia di intervenire. Voglia che poi era scemata rendendomi conto per l’ennesima volta di come è difficile, da parte di un italiano, parlare della realtà della società cubana rivolgendosi a lettori italiani.
Ma poi, non so perchè, come ho già scritto nei commenti all’ articolo di Loretta Emili, “ho sentito che questa resitenza lasciava spazio al tentativo di provare a scrivere almeno qualcosa che potesse essere utile ad avere una chiave di lettura più appropriata per capire la complessità di quel paese che, visto attraverso il nostro sguardo da stranieri, o ancor di più da turisti, molto spesso non ci fa cogliere le reali motivazioni di quelle realtà, positive o negative che esse siano”.
Ma prima vorrei cercare di spiegare perchè, secondo me, per una persona che non è cubana, non sia assolutamente semplice cercare di analizzare le “contraddizioni” che quell’ isola caraibica porta in sé.
Non è semplice, soprattutto perchè la società cubana ha attraversato mezzo secolo di socialismo, e questo ha trasformato, inevitabilmente, il loro modo di vivere la quotidianità, il lavoro, il rapporto con le istituzioni e il potere, le loro relazioni personali e quelle con gli stranieri/turisti. Quindi, ogni cosa che accade a Cuba, bisognerebbe sempre analizzarla con una lente diversa da quella che noi, figli della società “capitalista”, siamo abituati ad usare, altrimenti si riesce con difficoltà a centrare il cuore del problema che si ha intenzione di analizzare, se prima non si conosce bene il contesto in cui lo stesso è nato. Questo ci dovrebbe far riflettere prima di dare giudizi, sia essi derivino da un opinione positiva o negativa che si ha al riguardo.
Posso assicurare che non basta una vacanza, magari anche fuori dai grandi hotels o dai villaggi turistici, dormendo in casa “particular” (abitazione privata di cubani che affittano le stanze o l’ intero appartamento); mangiare in “paladar” (piccola “trattoria” privata a gestione familiare, con il divieto di avere dipendenti); o avere anche la rara fortuna, nel breve periodo di vacanza, di fare conoscenza con delle belle persone del posto e passarci delle serate con piacevoli chiacchierate in compagnia di una buona bottiglia di Ron cubano. No, tutto questo non basta!
Non basta per capire a fondo le varie realtà della società cubana, perchè, comunque, il tutto è acquisito nel breve spazio di quel soggiorno, dove la nostra percezione è sicuramente un pò “alterata” dal nostro spirito vacanziero.
Questi erano alcuni dei motivi perchè penso sia difficile da parte di una persona, che non è cubana, analizzare nella maniera più adeguata le molteplici contraddizioni che emergono da quell’ isola; e questo, in parte, vale anche per uno come me, che vive da diciassette anni insieme ad una donna cubana, e da otto con il nostro bambino, che proprio questa estate è rimasto cento giorni a Cuba dai nonni materni, per poter ottenere anche la cittadinanza cubana.
Tutte le volte che vado a Cuba sto in famiglia, vivendo la quotidianità cubana, con tutti i suoi problemi e contraddizioni, ho rapporti con le persone del quartiere, giro per gli uffici per risolvere pratiche burocratiche e mi devo impegnare nella ricerca di materiali edili per la ristrutturazione di una nostra casa. Insomma … quando sono nell’ isola, “vivo quasi da cubano”; dico “quasi da cubano” per rispetto nei loro confronti, perchè la mia è comunque, senza dubbio, una posizione assolutamente molto privilegiata confronto ai problemi che loro devono affrontare quotidianamente.
Ho voluto esporre alcune cose della mia vita privata, solo perchè penso che queste mi diano un minimo di credibilità per descrivere almeno il fenomeno delle “jineteras cubanas”, senza voler allargare l’ analisi ad altre questioni che richiederebbero tempo e spazio, il quale, quest’ ultimo, ho già occupato abbastanza con questa lunga ma, secondo me, necessaria premessa.
Cerco ora di entrare nel merito dell’ articolo di Loretta Emili, che poi è un capitolo del suo inedito libro; ma lo faccio solo per prendere spunto sull’ argomento delle jineteras, perché, come ha già scritto nel suo articolo Giulia De Baudi, anche io penso che non si debba entrare troppo nel merito delle frasi scritte dalla Emili sui cubani e le jineteras. Queste frasi, secondo me, fanno parte di una licenza letteraria, e a parer mio anche ben riuscita, a prescindere se la realtà cubana sia effettivamente come viene descritta. Magari, Loretta Emili, nel suo racconto, voleva evidenziare molto di più la riuscita separazione di una donna da un rapporto con un assoluta mancanza di desiderio con un uomo definito un “comunista piccolo piccolo”, anzichè analizzare la desolante realtà delle jineteras cubanas.
Comunque, visto che i commenti che sono seguiti al racconto “da puttana a puttana” si sono invece focalizzati solo sulla controversa realtà cubana (forse per il titolo redazionale che era un po’ fuoriviante Las jineteras: ciò che rimane de “el Socialismo” cubano), allora proverò a descrivere come è nato ed in seguito si è traformato questo fenomeno che si evidenzia nelle località cubane più frequentate dai turisti.
…Iniziamo col capire il perchè dell’ uso di questo vocabolo.
Ci sono differenti versioni sul perchè sia stata presa in prestito questa parola. “Jinete” che letteralmente significa “cavallerizzo/fantino” – colui che cavalca un cavallo -. Questo termine, a Cuba, cominciò a diffondersi popolarmente più o meno verso la fine degli anni ottanta, originariamente non aveva nessuna associazione con la prostituzione, ma andava a identificare quei cubani che entravano in contatto con gli stranieri, cosa molto difficile a quei tempi, ma per tutt’ altro tipo di attività. Una delle versioni che io reputo più verosimile è quella che segue – ne ho trovato anche riscontro in un post scritto in prima persona da chi, come lui dice, ha vissuto quei fatti in prima persona (è il secondo post scritto da “Tony): Leggi qui l’originale in castigliano.
La definizione di jinetero – originariamente solo maschile – cominciò ad essere usata un decennio prima, da un ristretto gruppo di amici universitari, con l’ abitudine di andare a cavallo il fine settimana in un parco pubblico dell’ Havana. Questi giovani avevano intrapreso la rischiosa attività di comprare dollari dai loro coetani studenti stranieri, per poter comprare merce nei negozi per turisti e poi rivenderla alla ” borsa nera”, ricavandoci così molto di più.
Il verbo andare a “jinetear” – cavalcare – fu inizialmente usato proprio fra di loro, come parola in “codice”, per non esporsi verbalmente nel dire che dovevano andare a comprare dollari dagli studenti stranieri. Poi negli anni seguenti, il rapporto dei cubani passò dagli studenti ai turisti stranieri, facendogli anche da guida per la città. E così anche le ragazze cominciarono ad accompagnare in giro i turisti, consigliandogli dove poter mangiare e dormire, prendendo in cambio una percentuale dal proprietario.
E come si può immaginare, da lì… il passo nell’ offrire anche la loro intima compagnia é stato molto breve… ma questo non per tutte.
Ormai il nome di jinetero/jinetera era diventato di uso comune per identificare quel tipo di persone.
E poi… venne il 1989…, con il crollo del muro di Berlino. Il suo sgretolarsi, colpo dopo colpo, trascinò con se tutti i paesi socialisti dell’ Europa Orientale, tranne l’Unione Sovietica. L’ URSS, ancora resisteva, ma Cuba aveva già cominciato a tremare per quel terremoto storico, che nessuno, fino a pochi mesi prima, poteva minimamente immaginare. E poi … arrivò anche il 1991… Ricordo ancora le immaggini in diretta di quella rossa bandiera sul Cremilino che, illuminata da un fascio di luce, lentamente … continua
Rendendomi conto di avere ancora abbastanza da scrivere e visto che in seguito dovrò continuare ad esporre più la cronaca degli accadimenti socio-economici che hanno riguardato la società cubana negli anni passati, invece che entrare nell’ interessante dibattito che é scaturito dai precedanti articoli pubblicati su Cuba, preferisco dividere questo mio contributo in due parti, altrimenti rischierei di annoiare i lettori.
La decisione presa, per il contenuto di questo “articolo”, di restare più su un impostazione descrittiva degli accadimenti, è dovuta al fatto che vorrei cercare di dare qualche elemento in più per comprendere meglio il contesto in cui l’argomento che si sta dibattendo è nato e si è sviluppato.
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