di Gian Carlo Zanon
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Il 18 maggio 2012 a San Francisco è stata presentata ufficialmente la quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm-5), considerato la Bibbia della psichiatria.
Come già pubblicato sul nostro giornale (leggi qui) la fragile impalcatura ideologica del DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), soprattutto per il rifiuto categorico di alcuni psicoterapeuti che, cosa rara, curano i loro pazienti, comincia a scricchiolare. Le crepe che evidenziano tale cedimento strutturale sono evidenti.
«Ora il Dsm – considerato nelle sue varie versioni una vera e propria Bibbia della psichiatria – è stato scritto da persone che hanno un nome e cognome: su di loro ricade l’enorme responsabilità degli incalcolabili danni che potrebbero provocare alla salute mentale di centinaia di milioni se non di miliardi di persone, le applicazioni pratiche di criteri senza fondamento scientifico.» Questo è ciò che scriveva su Babylon Post lo psichiatra, e psicoterapeuta, Domenico Fargnoli in un articolo dal titolo eloquente Dsm V: il disastro della psichiatria americana e la scienza-spazzatura.
«Tutte le nuove categorie diagnostiche introdotte, (Dal DSM V N.d.R) da quelle che riguardano gli abusi alimentari (il Binge eating disorder in cui rientrerebbero tutti quelli che amano fare baldoria), la dipendenza da internet (Internet use gaming disorder che interesserebbe milioni di giovani) o lo spettro autistico (Autism spectrum disorder in cui viene d’ora in avanti inclusa, scomparendo come entità autonoma la sindrome di Asperger) estendono a dismisura il raggio della patologia per la tendenza a individuare la presenza di sintomi in aree pericolosamente contigue alla “normalità”.»
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La denuncia di Fargnoli mette in guardia i lettori sul palese conflitto di interessi a tutto vantaggio dell’industria farmaceutica americana che è nei fatti il vero demiurgo del manuale. I revisori del manuale, come denuncia lo psichiatra emerito alla Duke University Allan J. Frances, sono stati pagati dall’APA, la potente lobby farmaceutica che ha investito ben 25 milioni di dollari per il DSM V.
Ho scritto questa lunga introduzione perché ieri ho letto questo articolo di Mario Pappagallo su Corriere Salute: Il lutto può essere curato come depressione.
Il titolo, che ritengo quantomeno squinternato, (il lutto non si cura, c’è riuscito solo un tizio che è risorto … dicono) ha attirato la mia attenzione. … il sottotitolo poi ha acceso notevolmente la mia curiosità: Una diagnosi di disturbo depressivo si può fare senza tener conto del particolare stato d’animo che altera la psiche.
Anche l’autore dell’articolo, in parte, forse un po’ troppo “politicamente corretto”, critica il DSM V , considerato dalla psichiatria allineata : «una Bibbia i cui contenuti rappresentano dogmi per gli specialisti».
I motivi sono evidenti: come è possibile pensare che il dolore e la tristezza per un lutto possano essere diagnosticati tout court come depressione e “curate” con vagonate di pillole che guariscono solo le tasche delle industrie farmaceutiche e gli psichiatri organicisti? Come si può pensare che una più che auspicabile tristezza per un lutto possa essere considerata malattia?
Come scrive l’autore dell’articolo, anche Mario Maj, l’unico italiano, che ha fatto parte di uno dei gruppi di lavoro per la stesura del Dsm-5. esprime il proprio dissenso al non considerare il lutto come una situazione di momentanea mutazione della situazione interna. Maj ha scritto un editoriale sull’American journal of psychiatry, rivista ufficiale dell’Associazione degli psichiatri americani in cui afferma: «Pur comprendendo le motivazioni del cambiamento proposto, ho sottolineato il rischio di una psichiatrizzazione impropria di reazioni del tutto naturali – spiega -, che rappresentano non raramente un momento di elaborazione e di crescita interiore per la persona».
È chiaro che il lutto, ovviamente, non può essere considerato depressione e “curato” con psicofarmaci.
Interessante però notare come la credenza filosofica nazista, che fantastica un super razza umana monolitica e scevra da passioni come modello da perseguire, si introduca persino nel pensiero di chi fabbrica le cosiddette pillole della felicità che con la loro chimica eccitante o calmante riporterebbero l’individuo in uno stato di equilibrio psichico, che è la morte della propria identità umana.
Soccorsi da questa ideologia secolare i chimici delle case farmaceutiche creano varie pillole del riequilibrio; poi creano ex nihilo sindromi da squilibrio; poi scrivono la loro Bibbia in qui vengono illustrate le sindromi dei ragazzini che fanno i capricci, delle donne che hanno la “sindrome mestruale, la sindrome del mangione, la sindrome di chi ha un po’ troppa voglia di fare all’amore
(Hypersexual Disorder); il (Parental Alienation Syndrome) vale a dire la sofferenza dei bambini in caso di separazione dei genitori diagnosticata come malattia. Manca ancora, ma sicuramente ci stanno pensando, la pericolosissima “sindrome del disoccupato” che dovrebbe “curare” milioni di persone dal “disturbo bipolare”: “vorrei lavorare ma non trovo lavoro”.
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Un esempio di Hypersexual Disorder,
disturbo patologico inserito nel DSM5, “sanzionato”
(dal film 1984)
Alla fine, se vogliono evitare di farsi medicalizzare, i cittadini, bambini compresi, dovranno uscire di casa con un bel sorriso ebefrenico stile Berlusconi stampato sul volto, e come lui, se verranno insultati per strada risponderanno sbracciandosi in segni di giubilo.
Tutto ciò che succede ogni giorno alle persone nei rapporti interumani, coinvolgendoli emotivamente tanto da rendendoli tristi o incazzati, se non annullato mediante una “razionale” pulsione di annullamento che cancella le emozioni, dovrà essere medicalizzato.
Questo sqallido scenario assomiglia molto alla fabbrica di umanoidi immaginata da Aldous Huxley nel suo romanzo Brave New World .
18 giugno 2012
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