• Camus : La notte della verità

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    di Gian Carlo Zanon

    «Finché ancora è tempo, mio amore
    e prima che bruci Parigi»

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    Con queste struggenti parole Nazim Hikmet, inizia a tessere una delle sue più appassionate poesie. Sotto quest’amore che trabocca per un’immagine femminile nascosta nel rosso del sangue del poeta turco, c’è la storia della liberazione di Parigi dal dominio nazista, che per quattro lunghi anni l’aveva tenuta prigioniera.

    Hitler aveva dato l’ordine di difenderla ad oltranza e prima di abbondonarla di distruggerla completamente. Non fu così. Il General der Infanterie Dietrich von Choltitz si arrese il 25 agosto, dopo un breve e sanguinoso scontro contro le forze della 2ª Divisione corazzata di Leclerc lasciando la capitale francese intatta.

    In quei giorni centinaia di appartenenti alla Resistenza francese persero la vita in feroci combattimenti combattendo anche contro i repubblichini di Vichy.

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    Quella notte in cui Parigi venne liberata dai francesi, Albert Camus, che aveva militato nella resistenza, e scritto anche in clandestinità su Combat, tracciava questo articolo che vi propongo: La notte della verità.

    Col suo solito stile tagliente ed appassionato il giornalista di Combat, traccia la storia interiore di dei francesi. Racconta di come in quattro anni si sia passati dalla disperazione alla “esultanza”:

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    «In questa notte senza pari culminano quatto anni di una storia spaventosa e di una lotta indicibile in cui la Francia ha dovuto fare i conti con il proprio odio e il proprio furore.»

    «odio furore.» ma subito dopo il pensiero di Camus va alla pace, alla felicità, alla tenerezza, alla grandezza dell’uomo:

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    «Non si può vivere sempre di omicidi e di violenza. Tornerà il tempo della felicità e della giusta tenerezza.»

    Poi Camus parla della verità, di quella verità che è costata migliaia di morti ingiuste, la verità che vede mescolarsi alla folla festante in quella notte d’agosto così gravida speranza e di profumi d’estate … quella verità che ora in Italia, in Francia e in Europa, è scomparsa a causa di chi vuole che Parigi bruci. A noi la sua difesa.

    Ora lascio parlare Albert, il compagno, l’amico, il maestro, il giornalista, lo scrittore, l’amante di Francine, il premio Nobel, il migliore … lascio parlare Camus perché pochi come lui hanno tenuto fede al quel giuramento primario fatto agli esseri umani che è il fondamento della verità. Verità umana da lui evocata in quella meravigliosa notte d’agosto.

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    Combat, Editoriale del 25 agosto 1944


    La notte della verità

    Albert Camus

     –

    Mentre le pallottole della libertà continuano ancora a fischiare in città, i cannoni della liberazione, tra grida d’esultanza e lanci di fiori, oltrepassano le porte di Parigi. Nella più bella e più calda delle notti d’agosto, il cielo di Parigi mescola le stelle di sempre alle pallottole traccianti, al fumo degli incendi e ai razzi multicolori della gioia di Parigi. In questa notte senza pari culminano quatto anni di una storia spaventosa e di una lotta indicibile in cui la Francia ha dovuto fare i conti con il proprio odio e il proprio furore.

    Coloro che non hanno mai disperato di se stessi né del loro paese trovano ora sotto il cielo di Parigi la propria ricompensa. Una notte come questa vale bene un mondo, è la notte della verità.

    La verità in armi e all’assalto, la verità a tutta forza dopo essere stata per tanto tempo la verità dalle mani vuote e dal petto scoperto. Una verità che è ovunque, in questa notte in cui rimbombano insieme il popolo e il cannone, essendo la voce stessa del popolo e del cannone, e avendo il volto trionfante e spossato dei combattenti di strada, pieni di cicatrici e di sudore. Sì, è esattamente la notte della verità, dell’unica verità che possa dirsi valida, quella che promuove la lotta e la vittoria.

    Quattro anni fa, in mezzo alle macerie e alla disperazione, degli uomini si sono alzati e hanno assicurato con tutta tranquillità che nulla era perduto. Hanno detto che occorreva continuare e che le forze del bene avrebbero potuto un giorno trionfare sulle forze del male. Certo, a caro prezzo. E loro hanno pagato questo prezzo.

    Un prezzo sicuramente pesante, gravato dal peso del sangue e dall’atroce pesantezza delle prigioni. Molti di quegli uomini sono morti, altri vivono da anni in un carcere buio. Era il prezzo che andava pagato. Eppure quei medesimi uomini, se potessero parlare, non ci invidierebbero la gioia terribile e meravigliosa che ora sta rifluendo in noi come una marea.

    Tale gioia, infatti, non contraddice i loro sforzi, anzi, li giustifica e ci dice che sono stati sforzi ben spesi. Uniti per quattro anni in un’eguale sofferenza, continuiamo a esserlo in un’ebbrezza eguale.

    Abbiamo conquistato la comune solidarietà. E riconosciamo con stupore in questa notte travolgente che per quattro anni noi non siamo mai stati soli. Perché abbiamo vissuto gli anni della fratellanza.

     Ci aspettano ancora aspre battaglie. Ma la pace infine tornerà su questa terra sventrata e dentro questi cuori consumati dalla speranza e dai ricordi. Non si può vivere sempre di omicidi e di violenza. Tornerà il tempo della felicità e della giusta tenerezza.

    In ogni caso quella pace non ci troverà privi  di memoria. E molti di noi non verranno mai abbandonati dal ricordo del volto dei fratelli sfigurati dalle pallottole e della grande fratellanza virile maturata in questi anni. Voglia il cielo che i nostri compagni morti partecipino di quella stessa pace che ci viene promessa nel corso di questa notte senza fiato e che, per quanto li riguarda, si sono già conquistata: la nostra lotta sarà la loro lotta.

    Agli uomini non viene regalato nulla e quel poco che sono in grado di guadagnarsi costa il prezzo di molte morti ingiuste. Eppure non sta qui la grandezza dell’uomo. Sta nella decisione di essere forte della propria stessa condizione umana. E di fronte all’ingiustizia di tale condizione, esiste solo un modo di sconfiggerla: essere noi i giusti. La nostra verità, la verità di una sera come questa, la verità che plana in questo cielo d’agosto, è la giusta consolazione per uomini come noi. Ed è la pace dei nostri cuori, eguale a quella dei nostri compagni morti, ad autorizzarci a dire, davanti al manifestarsi della vittoria, senza alcun spirito di rivalsa o di rivincita: “Abbiamo fatto quanto andava fatto.”

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